Leggo i giornali italiani di oggi e resto perplesso. I toni degli editoriali, in generale su tutto o quasi i quotidiani, di ogni tendenza, sono di un vittimismo per un’Italia maltrattata al tavolo delle nomine Ue. C’è chi dice che l’Italia è stata messa al margine, chi che non si sono considerati i risultati elettorali, chi che Giorgia Meloni (poi chissà perché si deve personalizzare tutto su una persona, per quanto capo del governo) è stata messa in un angolo e costretta al silenzio.
Tutto questo non corrisponde alla realtà dei fatti.
Iniziamo dai risultati elettorali. Certamente le destre radicali hanno avuto un buon risultato, ed anche lo ha avuto il centrodestra del PPE. Altrettanto certamente però questo risultato, trainato da Paesi come Italia e Francia, non è stato diffuso in tutta l’Unione, ed in alcuni Paesi anzi le destre radicali hanno indietreggiato, come nel Nord Europa, o in Polonia, oppure non hanno al momento almeno presentato un’alternativa credibile ai governi in carica. In Francia, dove invece questo, a livello di numeri, è successo, il presidente della Repubblica ha invece indetto elezioni anticipate per offrire la possibilità ai cittadini di cambiare, radicalmente, la maggioranza nel Parlamento nazionale.
Il risultato finale nelle elezioni europee, perché è di questo contesto che ci stiamo occupando ed è in questo contesto che le scelte vengono fatte dai Ventisette, è che la destra radicale è rimasta ampiamente minoritaria nei seggi parlamentari e che il PPE ha invece notevolmente consolidato la sua maggioranza relativa. E nel PPE, non va dimenticato, c’è anche una parte importante, apparentemente in crescita, del governo italiano, rappresentata da Forza Italia. I numeri dicono, e lo dico per chi si atteggia a vittima dicendo che non si considera l’ondata di destra in Europa, che la maggioranza di centro destra non c’è nel Parlamento europeo, non ci sono i numeri, gli elettori non li hanno concessi. E dunque basta, la discussione finisce qui.
Anche tra i governi europei non c’è una maggioranza di destra. Ce ne sono molti, è vero, e sono in crescita, ma al momento non sono in grado di formare una maggioranza, mentre lo sono quelli che si riferiscono alle forze che tradizionalmente hanno governato l’Unione e che ancora si sono confermate maggioranza in Parlamento.
Detto tutto questo, vediamo se il governo italiano è stato marginalizzato. Come accennato sopra, una delle forze che compongono la maggioranza fa parte del Partito popolare europeo. Dunque si presume, ma le parole del leader di Forza Italia Antonio Tajani lo confermano, che questo partito sia in linea con il resto del PPE e che dunque faccia parte della “maggioranza” che ha vinto le elezioni e che ha deciso di confermare Ursula von der Leyen alla guida della Commissione. C’è poi la Lega, che ha avuto e continua ad avere un atteggiamento picconatore contro l’Unione tutta, contro von der Leyen in particolare, ma che non ha offerto una proposta alternativa, non ha lavorato a create una proposta diversa cercando partner nell’Unione.
E poi c’è Giorgia Meloni, capo del governo e leader di Fratelli d’Italia, nonché dei Partito dei conservatori europei. Non ha mai fatto mistero Meloni di aver avuto ottime relazioni con von der Leyen, esistono foto, dichiarazioni, viaggi, fatti che lo dimostrano. Nel mesetto che ha preceduto le elezioni l’immagine che le due hanno dato è stata quella di un sobrio distacco, ed è normale che sia così, in vista di una confronto elettorale che le ha viste su fronti opposti. Ma Meloni non ha mai contestato la nomina di von der Leyen per un secondo mandato, direi anche che l’ha evidentemente sostenuta. La stessa presidente della Commissione, in più interventi pubblici, ha chiaramente detto che ha intenzione di collaborare con Meloni e con il suo partito in Parlamento, scatenando anche le ire dei suoi alleati liberali e socialdemocratici.
L’Italia dunque non è stata marginalizzata in questa fase. Ha potuto dire la sua. Certo, non ha potuto “decidere”, non ha potuto indicare un candidato alternativo, ma facendo parte, politicamente, di una minoranza tra i governi europei, ha già giocato bene la sua partita confermando un buon rapporto con chi, con grandi probabilità, sarà la prossima presidente della Commissione.
E poi c’è la partita del Parlamento. Un minuto dopo aver avuto la nomina da parte dei governi von der Leyen dovrà andare a cercarsi una maggioranza in Parlamento. Perché pur avendo una maggioranza di 46 deputati la presidente della Commissione non è tranquilla, poiché sa che qualche franco tiratore (il voto è segreto) ci sarà, in particolare nel suo partito, il PPE, che non mostra di amarla in maniera compatta. Dunque deve trovare dei voti in altri gruppi, ed ha già dichiarato che preferisce cercarli proprio nell’Ecr, quello del partito di Meloni, che dunque avrà spazio per negoziare qualcosa in cambio, se deciderà che qualche voto può farglielo arrivare.
Il vittimismo italiano dunque non ha proprio ragione di esistere. La maggioranza di governo gioca una partita che, almeno per ora, è di minoranza nell’Unione, e dunque certo non può essere quella che sceglie per gli altri, quando gli altri condividono un progetto europeo che buona parte del governo italiano dice di non condividere. Però che Meloni sia stata messa all’angolo e zittita non è la verità.