Bruxelles – Ci si aspettava una decisione rapidissima, anche se non formale comunque già una bozza solida di nomine Ue su cui far scivolare senza tentennamenti la decisione dei Ventisette la prossima settimana al Consiglio Europeo. Una decisione non c’è stata, ma in fondo – come sottolineato dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, parlando alla stampa al termine del vertice informale del 17 giugno – “era assolutamente chiaro dall’inizio, e non è una sorpresa, che l’obiettivo di oggi non era prendere una decisione“. Anche solo per il fatto che “avrebbe implicato qualcosa di diverso in termini di processo giuridico, che invece è in programma per la settimana prossima” alla riunione formale del 27-28 giugno.
Insomma, la decisione sul pacchetto di nomine Ue per la spartizione tra i partiti europei delle più alte cariche delle istituzioni dell’Unione – presidenza di Commissione, Consiglio e Parlamento, e alto rappresentante Ue – era una chimera. Servirà ancora pazienza, il lavoro dei negoziatori continua, bisognerà attendere. Ma “l’obiettivo era di preparare il terreno per la settimana prossima con uno scambio di vedute approfondito e trasparente“, ha voluto mettere in chiaro Michel, lasciando solo tra le righe che né lui né i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri vogliono una decisione affrettata e improvvisata, per quanto rapida per rispondere senza esitazioni a un contesto globale incerto e minaccioso. “Il Consiglio Europeo è un’istituzione importante e dobbiamo essere sicuri che in futuro sia in grado di garantire il più possibile l’unità dell’Unione Europea“, sono state le parole dell’attuale presidente, che ha rievocato le parole con cui il suo predecessore gli aveva passato il testimone nel 2019: “Cinque anni fa Donald Tusk mi ha dato un ottimo consiglio, di fare in modo di lavorare per proteggere l’unità dell’Unione Europea e del Consiglio Europeo”.
Il numero uno del Consiglio non ha però voluto nascondere che l’ambizione e il “dovere collettivo” dei Ventisette rimane pur sempre quello di “prendere una decisione sul ciclo istituzionale entro la fine di giugno”, dunque al vertice di giovedì e venerdì prossimo. Ma se la decisione convergerà sul pacchetto di nomine Ue che circola da una settimana a Bruxelles – Ursula von der Leyen e Roberta Metsola per la conferma rispettivamente alla Commissione e al Parlamento, l’ex-premier portoghese, António Costa, al Consiglio Europeo e la premier estone, Kaja Kallas, come alta rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza – “lo chiariremo solo la settimana prossima“, perché quello di oggi è stato “un passo importante” per preparare la riunione formale che dovrà dare il via libera definitivo.
Michel ha insistito con forza sul fatto che “è importante garantire la trasparenza e l’inclusività del processo decisionale, perché tutti i 27 leader si devono sentire coinvolti” per arrivare “quanto prima” a un semaforo verde sulle nomine Ue la prossima settimana, così come sull’agenda strategica “su cui abbiamo iniziato a lavorare dal vertice di Granada”. Ma l’attenzione è inevitabilmente tutta rivolta ai cosiddetti top jobs – le cariche di alto livello delle principali istituzioni dell’Unione – che i diversi partiti politici europei e i rispettivi rappresentanti a livello di governo si stanno giocando al tavolo del Consiglio Europeo: “È un momento speciale, perché c’è una linea di ciascun partito secondo i risultati delle elezioni europee“, ha spiegato Michel, sottolineando che ogni famiglia politica ha presentato “le proprie proposte” e da lì “abbiamo iniziato il processo decisionale”.
I giochi politici tra partiti e governi
È ai partiti europei che bisogna guardare, nel bene e nel male. Perché se da una parte ci sono le linee politiche che potranno consentire un accordo in tempi rapidi, dall’altra ci sono le ambizioni che rischiano allo stesso tempo di farlo saltare. Come quella del Partito Popolare Europeo (Ppe), che a quanto si apprende a Bruxelles ha proposto di applicare la staffetta di due anni e mezzo anche alla presidenza del Consiglio Europeo, proprio come accade al Parlamento Ue. In altre parole il socialista Costa – la cui posizione sembra essere “consolidata”, confermano le fonti – dovrebbe lasciare il posto a un popolare al termine della prima scadenza a fine 2026/inizio 2027: il mandato del presidente del Consiglio Europeo dura due anni e mezzo, ma dall’istituzione della carica elettiva nel 2009 è sempre stato rinnovato per cinque anni. Se riuscisse l’all-in, il Ppe si garantirebbe per tutta la legislatura due cariche di vertice su quattro (Commissione più Parlamento e Consiglio a rotazione), in caso contrario sarà una spartizione equa con i Partito del Socialismo Europeo (che avrebbe sia Consiglio sia Parlamento dal 2027).
Il primo confronto tra i negoziatori dei tre partiti europei che formeranno la maggioranza parlamentare – popolari, socialdemocratici e liberali – si è tenuto prima del vertice informale, per tastare gli umori delle rispettive controparti. Nel frattempo Metsola ha reso noto di aver presentato la candidatura per succedere a se stessa alla guida del Parlamento Ue e che l’Eurocamera “è pronta a votare” per confermare la scelta del Consiglio Europeo per la presidenza della Commissione. In quest’ottica Metsola ha invitato Michel a partecipare alle prossime riunioni della Conferenza dei presidenti dei gruppi in programma tra il 20 e il 26 giugno, come consultazioni prima dell’auspicata decisione definitiva al vertice del 27-28 giugno. Se dovesse arrivare la fumata bianca al Consiglio Europeo, ci potrà essere un primo “scambio di opinioni” tra i capi-gruppo e il candidato alla presidenza della Commissione “nella riunione del 2 luglio”, prima della plenaria del Parlamento Ue il 16-19 luglio a Strasburgo.
Uscito dal vertice informale, il presidente francese, Emmanuel Macron, si è mantenuto vago sul fatto di non voler essere “eccessivamente ottimista”, ma un accordo “è vicino”. Il premier olandese, Mark Rutte, ha confermato che i leader Ue si sono confrontati sui nomi contenuti nel pacchetto in discussione dopo le elezioni europee e che, nonostante non si sia ancora arrivati a un’intesa, “la situazione sembra più chiara del 2019, quando ci fu una grande lotteria per tre giorni“. Anche il collega croato, Andrej Plenković, ha assicurato che “non vedo voci” al tavolo del Consiglio Europeo che possano “mettere in dubbio” il nome di von der Leyen, su cui convergono anche i primi ministri della famiglia dei popolari europei: il greco Kyriakos Mītsotakīs, lo spagnolo Alberto Núñez Feijóo, l’irlandese Simon Harris, il portoghese Luís Montenegro (che sostiene anche la nomina di Costa al Consiglio Europeo, in quanto “nel contesto più ampio del progetto europeo, i nostri partiti sono generalmente allineati”) e il polacco Donald Tusk, che ha tagliato fuori dalla maggioranza al Parlamento Ue la premier italiana e presidente del Partito dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr), Giorgia Meloni.
Il pacchetto di nomine Ue sul tavolo dei Ventisette
I popolari europei hanno già confermato che, dopo la convincente prova elettorale dei partiti nazionali affiliati al Ppe, si aspettano di ottenere sia la presidenza della Commissione sia quella del primo “turno” di due anni e mezzo del Parlamento, in linea di perfetta continuità con la fine della nona legislatura. Questo vale anche per quanto riguarda i nomi, che sono rispettivamente quello della tedesca von der Leyen e della maltese Metsola. Per quanto riguarda la prima, non sembrano al momento esserci alternative credibili per la leadership dell’esecutivo dell’Unione, anche se von der Leyen deve guardarsi dall’incertezza politica che regna in diverse capitali dopo le elezioni europee. Per quanto riguarda la presidenza del Parlamento Europeo il nome forte è sempre quello di Metsola, che guida l’istituzione Ue dal gennaio 2022, e la probabile elezione dovrebbe arrivare alla sessione plenaria inaugurale della decima legislatura tra il 16 e il 19 luglio: per quanto riguarda la staffetta tra popolari e socialdemocratici alla presidenza del Parlamento Ue nel corso dei prossimi cinque anni di legislatura, diverse fonti nei due gruppi avvertono che è un tema ancora prematuro e che dipenderà dalla distribuzione delle cariche nelle altre istituzioni Ue.
I socialisti europei stanno puntando tutte le carte sulla prossima presidenza del Consiglio Europeo, dopo essersi riconfermato come seconda forza all’Eurocamera e limitando il rischio di emorragia di voti. I socialisti europei rimangono il partner imprescindibile per i popolari nella maggioranza centrista al Parlamento Ue e per questo motivo, considerato il parallelo crollo dei liberali, ora puntano a qualcosa di più dell’alto rappresentante Ue (come negli ultimi due mandati). Il chiaro favorito è l’ex-premier portoghese Costa, considerato che nelle altre capitali non viene considerata un problema la bufera dell’inchiesta di presunta corruzione che lo ha costretto alle dimissioni nel novembre 2023, pur non riguardandolo personalmente.
E infine c’è l’ultima carica in ballo dopo le elezioni europee, che nella logica di spartizione dei vertici delle istituzioni Ue tra partiti dovrebbe essere rivendicata dai liberali. In pole position per il posto di alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza c’è l’attuale premier estone Kallas, che dal 24 febbraio 2022 si è ritagliata il ruolo di irreprensibile leader al fianco dell’Ucraina invasa dalla Russia, tra i più decisi al tavolo dei 27 leader Ue. Proprio questa carta potrebbe valere alla premier estone la promozione alla guida della politica estera dell’Unione, come dichiarazione di un sostegno a Kiev che dopo oltre due anni non è destinato a venire meno da Bruxelles.