Bruxelles – Sì ai dazi, purché imposti laddove serve davvero e non con eccessiva leggerezza, perché altrimenti si rischia di produrre l’effetto contrario all’interesse europeo. Ma soprattutto più crescita e politiche utili allo scopo. Mario Draghi prova a sferzare l’Europa, con un discorso programmatico per il futuro dell’economia a dodici stelle rivolto a chi, poi, sarà chiamato alla scelte del caso. Il relatore incaricato per il rapporto sulla competitività ha già avuto modo dire che serve una svolta epocale, e lo ribadisce una volta di più con il suo discorso al Premio Europeo Carlo V.
Occorre una politica industriale che miri ad “aumentare la produttività”, mette in chiaro Draghi, che ammonisce: “Il passaggio dalla ricerca fondamentale alla commercializzazione delle idee è molto più debole”, vero è “non esistono cluster di innovazione europei tra i primi 10 a livello mondiale e le nostre università faticano a trattenere i migliori talenti”. Ne consegue che “l’Ue deve considerare la ricerca e l’innovazione come una priorità collettiva”. Altrimenti si continuerà a restare indietro. “In termini di percentuale del Pil – lamenta ancora Draghi – le imprese europee spendono circa la metà di quelle statunitensi in ricerca e innovazione, determinando un gap di investimenti di circa 270 miliardi di euro ogni anno“.
E poi c’è un’eccessiva inflazione legislativa. “I successivi livelli di regolamentazione hanno creato un onere sugli investimenti a lungo termine, come riportato lo scorso anno dal 61 per cento delle aziende dell’Ue”. Tutto questo frena l’Europa e la sua competitività. Perciò, “dobbiamo ripensare l’ambiente dell’innovazione in Europa“.
E’ questo il punto chiave di Draghi. La priorità non possono essere le tariffe ai prodotti di importazione, che pure servono per mettere in sicurezza l’Ue. Perché, e qui l’ex premier vuole essere chiaro, “non vogliamo diventare protezionisti in Europa, ma non possiamo restare passivi se le azioni degli altri minacciano la nostra prosperità”. Ma vuole anche mettere l’accento sulla differenza che c’è tra concorrenza sleale e prodotti più avanzati che l’Europa non ha e di cui ha bisogni. “L’uso di dazi e sussidi dovrebbe essere basato su principi e coerente con la massimizzazione della crescita della nostra produttività“. Ciò significa “distinguere l’autentica innovazione e i miglioramenti della produttività all’estero dalla concorrenza sleale e dalla repressione della domanda”.