Bruxelles – È una sorta di testamento politico di questa Commissione europea uscente in materia di migrazione e asilo, in vista di un possibile nuovo esecutivo guidato ancora da Ursula von der Leyen, ma con il contesto politico e la narrativa istituzionale ormai radicalmente cambiati e alcuni protagonisti che usciranno di scena. Dopo l’iter legislativo durato un’intera legislatura e l’entrata in vigore ieri (11 giugno), il Patto migrazione e asilo è entrato nella fase di attuazione, che durerà esattamente due anni prima della piena entrata in vigore il 12 giugno 2026. “Con il piano di attuazione comune passiamo all’attuazione operativa e pragmatica per fare la differenza sul campo”, è la promessa della commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson, arrivata quasi al termine della sua corsa al Berlaymont.
Atteso da fine aprile, il piano di attuazione comune presentato oggi (12 giugno) dall’esecutivo dell’Unione si basa su 10 elementi costitutivi – 10 “blocchi” li chiama la commissaria – che sono “tutti da implementare e interdipendenti” per permettere il corretto funzionamento di una legislazione complessissima. Per rendere chiara la necessità di mettere a terra in modo coerente tutti i pezzi del Patto migrazione e asilo, la Commissione fornisce diversi esempi: “Un buon sistema di accoglienza (blocco 3) si sovraccaricherà se le procedure non vengono eseguite tempestivamente (blocco 4) o se i beneficiari di protezione internazionale rimangono troppo a lungo negli alloggi destinati ai richiedenti (blocco 10)”. O ancora “la solidarietà (blocco 7) e la responsabilità (blocco 6) o il nuovo sistema di gestione dei flussi migratori alle frontiere esterne dell’Ue (blocco 2) non saranno operativi se Eurodac (blocco 1) non sarà operativo in tempo”, ricordando che “il rispetto delle garanzie e dei diritti (blocco 9) è una dimensione trasversale a tutti gli atti legislativi e un aspetto che dovrà essere reso operativo in ciascuno dei blocchi”.
Il piano di attuazione comune costituisce la pietra angolare per il sostegno della Commissione ai Paesi membri, ma il vero lavoro spetta proprio alle 27 capitali. E inizia già ora, perché la scadenza per la definizione dei rispettivi calendari e azioni per la messa a terra del Patto migrazione e asilo dovrà essere presentata entro sei mesi esatti da oggi: “Ogni Stato membro deve stabilire un piano di attuazione nazionale entro il 12 dicembre 2024“, ha annunciato la responsabile per gli Affari interni del gabinetto von der Leyen. La data è anticipata di qualche settimana rispetto alle indiscrezioni degli ultimi mesi (la scadenza era prevista per gennaio 2025), così come quella per la presentazione delle bozze dei piani nazionali, “entro ottobre 2024”, per poter ricevere un sostegno dalla Commissione per tempo. Nel frattempo rimane al primo luglio la scadenza per l’istituzione di strutture di coordinamento nazionali e per la nomina del coordinatore nazionale. “Ogni Stato membro ha sfide diverse da affrontare e si trova in punti di partenza diversi”, e per questo motivo i piani nazionali di attuazione devono “tracciare una mappa della situazione attuale, che comprenda il contesto nazionale, il quadro legislativo e le pratiche amministrative vigenti, l’assetto organizzativo e le strutture esistenti, le capacità esistenti e le sfide legate alle circostanze geografiche”.
Con il piano comune di attuazione, la Commissione fornisce alcuni suggerimenti agli Stati membri, come per esempio l’impostazione del lavoro sulla base di una task force interministeriale e intersettoriale, la valutazione dei costi in base ai cicli di bilancio nazionali e ai fondi Ue, ma anche tutta una serie di misure concrete: rivedere i quadri giuridici nazionali e procedere agli adeguamenti necessari, riesaminare gli assetti organizzativi e le capacità in termini di risorse umane, prevedendone un aumento generale e tenendo in considerazione i diversi profili richiesti. Questo include anche l’identificazione delle attività da esternalizzare (ad associazioni di avvocati, Ong, enti privati) e i meccanismi di monitoraggio, l’esame delle necessità in termini di infrastrutture fisiche “per l’accoglienza e il trattenimento sul territorio e alle frontiere”, infrastrutture informatiche, attrezzature e ambiente di sicurezza.
Per quanto riguarda infine il calendario per l’attuazione del Patto migrazione e asilo tra il 12 giugno 2024 e il 12 giugno 2026, la Commissione Europea rende noto che adotterà “entro la prima metà del 2025” la decisione di assegnazione dei fondi per i programmi nazionali nel contesto della revisione intermedia dello Strumento di gestione delle frontiere e dei visti (Bmvi) e del Fondo asilo, migrazione e integrazione (Amif). Entro aprile 2025 dovranno essere presentati dai Paesi membri anche i piani di emergenza nazionali ed entro giugno/luglio le strategie nazionali, mentre il primo semestre del prossimo anno sarà decisivo anche per altre questioni: l’assegnazione dei fondi della revisione intermedia del Quadro finanziario pluriennale (Qfp) 2021-2027 “attraverso lo Strumento tematico”, e gli Stati membri dovranno avviare gli appalti per l’acquisto di attrezzature e attività edilizie e il processo di assunzione.
La base del Patto migrazione e asilo
La base su cui si imposta il nuovo complessissimo sistema del Patto migrazione e asilo (qui la spiegazione nel dettaglio) è il rapporto tra solidarietà e responsabilità nella gestione delle persone migranti tra i Ventisette. Il primo concetto permea il Regolamento per la gestione dell’asilo e della migrazione (Ramm), che non supera in alcun modo il principio cardine del Regolamento di Dublino del 2013, ovvero che il compito di esaminare la richiesta di asilo di una persona che fa ingresso in modo irregolare sul territorio comunitario spetta al primo Stato membro Ue a cui accede. Paesi come Italia, Grecia, Malta, Cipro e Spagna saranno responsabili delle richieste, mentre gli altri Paesi membri che vogliono ‘dublinare’ (cioè estradare) queste persone migranti – inclusi i minori e chi richiede il ricongiungimento con fratelli – dovranno semplicemente inviare una notifica, non più una richiesta di processo reciproco con l’accordo del Paese di primo approdo come accade oggi.
Dopo l’entrata in vigore del Regolamento – a 24 mesi dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale dell’Ue – sarà introdotto l’ormai famoso meccanismo di solidarietà obbligatoria per tutti i Ventisette (sulla base di Pil e popolazione), che mette sullo stesso piano tre forme di solidarietà: ricollocamenti di persone migranti, contributi finanziari o supporto a Paesi terzi. I contributi ai Paesi membri possono essere destinati non solo ai sistemi di accoglienza, ma anche al finanziamento di strutture fisse e mobili di confine attraverso lo Strumento di gestione delle frontiere e dei visti (Bmvi) e il Fondo asilo, migrazione e integrazione (Amif). Nessun ricollocamento obbligatorio per le persone migranti sbarcate dopo operazioni di ricerca e soccorso in mare e per chi è sottoposto alla procedura Ramm non è prevista la rappresentanza legale, ma solo consulenza.
Il concetto della responsabilità è legato in particolare al Regolamento sulle procedure di asilo (Apr), che aumenta solo quelle previste per i Paesi di primo ingresso. Si applicherà automaticamente in caso di rischio per questioni di minaccia alla sicurezza – inclusi i minori non accompagnati – di “inganno delle autorità” o se la persona migrante proviene da un Paese con un tasso di riconoscimento inferiore al 20 per cento. Le procedure di frontiera prevederanno una detenzione di fatto, senza esenzioni nemmeno per le famiglie con minori di 12 anni, né una rappresentanza legale, né una sospensione per i ricorsi contro la maggior parte delle decisioni (l’eccezione è per inammissibilità di quelle basate sul concetto di “Paese terzo sicuro” e per minori non accompagnati).
Cruciale in questo Regolamento è proprio il concetto di “Paese terzo sicuro”, per cui sono previsti sia un elenco Ue sia elenchi nazionali per giustificare e velocizzare rimpatri rapidi fuori dall’Unione, a meno che non ci siano legami della persona singola con lo Stato in questione che ne escludano la sicurezza. Tra i nuovi obblighi sul piano della responsabilità c’è quello di portare a termine l’esame della domanda di asilo attraverso la procedura di frontiera entro sei mesi (Apr), ma anche l’estensione del periodo di responsabilità della gestione delle domande per 20 mesi e il mantenimento a 12 mesi quello per le operazioni di ricerca e soccorso in mare (Ramm). Fissato a 30 mila persone il tetto massimale annuale per le procedure di frontiera, determinato sulla base di una formula che tiene conto del numero di attraversamenti irregolari delle frontiere e del numero di espulsioni nei tre anni precedenti.