Bruxelles – Elemento “fondamentale per la salute del pianeta, dei cittadini e per la nostra economia” e “nuova strategia di crescita” che “ci aiuterà a ridurre le emissioni e a creare posti di lavoro”. Così la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel 2019, definì il Green deal nella plenaria a Strasburgo. Dal palco allestito all’Eurocamera per la notte elettorale, invece, non lo ha neanche nominato. Altri lo hanno fatto, ma non lei. Forse perché quello che era il pilastro del suo primo mandato si è trasformato in un tema divisivo per il suo elettorato e solo modificando – o annacquando – alcune politiche ha potuto tentare di ritrovare un favore nel settore agricolo e industriale. Eppure, anche se esce malconcio dalle urne, il Green deal non sembra essere in discussione.
Da un lato, ci sono le posizioni di partiti di estrema destra che hanno riscosso successo nelle urne. Ad esempio, il Rassemblement National di Marine Le Pen in Francia, che nel suo programma per il Paese prevede di “restituire alle famiglie i 5 miliardi di sussidi erogati in particolare ai parchi eolici”, di “bloccare i progetti di parchi eolici e smantellare gradualmente quelli esistenti”, di “rilanciare i settori nucleare e idroelettrico e investire nell’idrogeno”, di “uscire dal mercato europeo dell’elettricità per ripristinare prezzi decenti”. O come l’Fpo (il partito della libertà) austriaco. Che chiede “di fermare la distruzione sfrenata di economia, industria e competitività; pagamenti equi agli agricoltori austriaci e tutela dell’agricoltura locale; energia a prezzi accessibili per le famiglie e l’economia; fine definitiva del ‘Green deal’; revoca del divieto sui motori a combustione”. E contemporaneamente prende le distanze dall’energia nucleare e predilige le rinnovabili: “L’Ue sta promuovendo l’espansione dell’energia nucleare con il pretesto di ‘politica climatica’. I francesi si fregano le mani e vogliono costruire altre 14 centrali nucleari oltre alle 56 già esistenti. Siamo seduti su un barile di polvere nucleare”. Per queste ragioni, l’Fpo chiede “di smettere di promuovere l’energia nucleare come ‘energia pulita’, l’espansione delle energie rinnovabili, una politica ambientale sensata invece di una dittatura climatica dell’Ue”. O come, ancora, la posizione di AfD, Alternative fur Deutschland, che, sebbene sia stato espulso dal gruppo ID, lì ha trovato posto fino a circa due settimane fa. “Il dogma del cambiamento climatico provocato dall’uomo serve come pretesto all’Ue per intervenire in tutti gli ambiti della vita. I programmi dell’Ue come il ‘Green deal’ e ‘Fit for 55’ stanno avendo un impatto distruttivo sull’economia europea e soprattutto su quella tedesca”, scrive AfD nel suo programma. “I combustibili fossili erano e sono la base della nostra prosperità. L’affermazione di una minaccia derivante dal cambiamento climatico provocato dall’uomo non si basa su prove scientifiche. Piuttosto, si tratta di un programma politico volto a tassare l’aria che respiriamo e quindi attuare trasformazioni sociali. È un progetto ecosocialista che porta inevitabilmente a una drammatica riduzione della prosperità e a una restrizione totalitaria della libertà”, continua.
Dall’altro lato, però, ci sono le forze di maggioranza, liberali e socialiste, e i verdi, che nei loro interventi di queste ore, affrontano il Green deal come un elemento quanto meno inevitabile, perché avviato nei settori industriali e produttivi europei. “Per noi è fondamentale l’approfondimento del Green deal e il rafforzamento della democrazia europea. E spero che se il Consiglio presenterà Ursula von der Leyen per il secondo mandato ciò sia al cuore di quanto vuole raggiungere. E abbiamo bisogno di vedere l’impegno per sostenerla”, ha dichiarato il co-presidente uscente dei Verdi, Philippe Lamberts. “Il Green deal del 2019 era un programma anche per l’economia e se consideriamo che Usa e Cina stanno spingendo sulla corsa mondiale nell’innovazione verde, credo che sarebbe un errore madornale da parte nostra abbandonare il Green deal: anche le nostre imprese vogliono prevedibilità e chiarezza per il futuro e, dunque, per noi è chiaro che in qualunque programma futuro deve rientrare il Green deal. Continuare il Green deal nel contesto di una strategia industriale è imprescindibile”, ha fatto eco il candidato Bas Eichkout. “Sta a noi, ora, dare ai cittadini un messaggio forte di speranza e questo messaggio forte riguarda l’Europa sociale e una Europa che ponga in essere una politica ambientale che prevenga le catastrofi che vediamo in Europa e nel mondo”, ha scandito il candidato socialista, Nicolas Schmit. E la presidente del gruppo di Renew Europe, Valerie Hayer, ha sottolineato: “Come presidente di Renew Europe ho a cuore le priorità del mondo liberale, centrista: l’Europa della difesa, un’Europa che sia più competitiva, lo stato di diritto il mantenimento delle ambizioni sul Patto verde che è stato la colonna vertebrale del nostro mandato”.
Dunque, il Green deal esce malconcio, ma il suo percorso, ormai avviato, sarà difficile da interrompere.