Bruxelles – Ormai il nome di Ursula von der Leyen come futura presidente della Commissione Europea – succedendo a se stessa alla guida dell’esecutivo dell’Unione – si accredita di ora in ora che passa. Perché la seria affermazione elettorale del suo Partito Popolare Europeo alle urne tra il 6-9 giugno, unita all’impossibilità per i maggiori alleati di proporre un’alternativa credibile a causa dell’esito del voto, ha sgomberato almeno al Parlamento Europeo l’orizzonte da altri nomi che potrebbero contenderle il posto al Berlaymont. Eppure, mentre von der Leyen parla a tutti gli effetti dalla pole position della candidatura per la presidenza della Commissione, è dai governi nazionali che deve guardarsi le spalle, dove ancora regna l’incertezza dopo il terremoto politico in Francia e in Germania. Il rischio di una possibile paralisi delle istituzioni Ue non si può del tutto escludere e i prossimi giorni e settimane saranno decisivi per capire quali aspettative porre sul Consiglio Europeo del 27-28 giugno.
“I cittadini vogliono un’Europa che dia risultati, da domani inizierò a costruire un’ampia coalizione per un’Europa forte“, ha messo in chiaro oggi (10 giugno) von der Leyen in conferenza stampa congiunta con il presidente dell’Unione Cristiano-Democratica di Germania (Cdu), Friedrich Merz, a Berlino: “Insieme ad altri costruiremo un bastione contro gli estremi di destra e di sinistra“. L’invito alla collaborazione con i socialdemocratici e i liberali europei – i primi usciti quasi indenni dalla prova del voto, i secondi fortemente ridimensionati – era arrivato già nella tarda serata di ieri (9 giugno) dall’emiciclo dell’Eurocamera, commentando alla stampa le proiezioni per la decima legislatura. Ma da Berlino la numero uno della Commissione ha voluto ricordare che “i gruppi nel Parlamento Europeo non si sono ancora formati” e, senza certezze né sulla composizione né sulle dimensioni finali, “per risparmiare tempo parlo con coloro con cui ho già collaborato bene e a lungo, ma questo lascia anche porte aperte“.
Regge al Parlamento Europeo la maggioranza europeista, con il cuore Ppe-S&D-Renew Europe ancora al centro di qualsiasi discorso di maggioranza: “In questi tempi turbolenti abbiamo bisogno di stabilità, responsabilità e continuità”, ha precisato von der Leyen, ribadendo che “il mio obiettivo è di continuare su questa strada con coloro che sono pro-europei, pro-Ucraina e pro-Stato di diritto“. Rimane socchiusa la porta per i Verdi europei – veri sconfitti di queste elezioni – che cercano di recuperare terreno puntando sul senso di “responsabilità” e andando a puntellare una maggioranza che con circa 400 seggi (la soglia minima è 361) potrebbe rischiare costantemente il ricatto di franchi tiratori. Ma non bisogna dimenticare che in quelle tre linee rosse proprio von der Leyen in campagna elettorale aveva fatto rientrare anche la premier italiana e presidente del Partito dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr), Giorgia Meloni, seppur chiudendo a un’alleanza con l’intero gruppo conservatore. Al momento la numero uno dell’esecutivo Ue non scopre le sue carte, e rimane comunque difficile pensare ai 24 eurodeputati di Fratelli d’Italia nella stessa maggioranza con i socialdemocratici italiani e non.
Chi non ci vuole stare è sicuramente la presidente del gruppo Renew Europe, Valérie Hayer, che parlando oggi alla stampa al Parlamento Ue ha escluso qualsiasi accordo con Ecr: “È il gruppo di Giorgia Meloni, del PiS in Polonia, di Reconquête in Francia, è una destra estrema e preserveremo il cordone sanitario“. Un gruppo a cui potrebbero anche unirsi gli ungheresi di Fidesz, con lo scenario non improbabile di un terzo posto per numero di membri sfilato proprio ai danni dei liberali europei (che hanno in ballo una discussione sulla possibile espulsione dei membri olandesi e l’altrettanto verosimile fuoriuscita di quelli cechi). Ma per Hayer non c’è dubbio che “nessuna coalizione si fa senza di noi e ci assumiamo la responsabilità di parlare quanto prima con le forze pro-europee e democratiche”, con l’obiettivo di costruire una coalizione “pro-europea e centrista, attorno al nostro gruppo politico”. Il nome di von der Leyen è vincolato al programma politico, perché “le priorità politiche hanno la precedenza”, ma l’attuale presidente del gruppo Renew Europe non mostra alcuna esitazione nel parlare della prospettiva di un bis della candidata del Ppe (seppur condizionato).
Se la maggioranza di centro tiene al Parlamento Europeo, i giochi veri si faranno al tavolo dei capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri. Ed è qui che la situazione si fa più scivolosa e incerta. La decisione del presidente francese, Emmanuel Macron, di convocare le elezioni anticipate dopo la dura sconfitta dei liberali di Besoin d’Europe potrebbe essere il preludio di un’accelerazione dei tempi per la nomina della prossima presidenza della Commissione prima del voto del 30 giugno. Ma non è nemmeno da escludere che l’inquilino dell’Eliseo possa congelare tutto fino al ballottaggio del 7 luglio, per capire quali sono i rapporti di forza in Francia: in quel caso si potrebbe non solo configurare lo scenario dell’estrema destra di Rassemblement National al governo, ma anche un potenziale scontro tra presidente e primo ministro sulla nomina della presidenza della Commissione (von der Leyen è apertamente contraria al partito di Marine Le Pen e Jordan Bardella).
C’è poi da considerare l’indebolimento generale della coalizione ‘semaforo’ in Germania tra socialdemocratici, liberali e Verdi. Se da una parte per von der Leyen e la sua Cdu non è una notizia negativa – in quanto una forte affermazione avrebbe potuto mettere a rischio la nomina alla Commissione di una politica che fa parte del maggiore partito escluso dal governo – dall’altra parte mancherà al tavolo del Consiglio Europeo una presenza forte da Berlino, con il cancelliere, Olaf Scholz, che ora sarà ancora più sotto pressione politica interna e con la preoccupazione dell’affermazione elettorale dell’estrema destra di Alternative für Deutschland. Il tavolo dei 27 leader potrebbe essere ancora più incerto con un’Austria che a pochi mesi dalle elezioni autunnali guarda sempre più all’estrema destra (Freiheitliche Partei Österreichs è primo partito con il 25,7 per cento), i Paesi Bassi che si apprestano a varare il governo di destra con i nazionalisti euroscettici del Partito per la Libertà e il Belgio senza governo – potenzialmente per mesi – dopo le elezioni federali di ieri e il rebus della maggioranza per l’affermazione dei nazionalisti fiamminghi e dell’estrema destra.
Mentre al Parlamento Europeo la situazione dopo le elezioni europee tende a stabilizzarsi sul centro europeista e con l’inizio delle discussioni tra i partiti di possibile maggioranza (compresi i Verdi) sulle nomine dei vertici delle istituzioni Ue, von der Leyen dovrà fare attenzione ora agli equilibri tra i 27 governi per portare a casa la riconferma al Berlaymont. Perché è proprio qui che la pole position potrebbe trasformarsi in un testacoda, e il “baluardo” contro gli estremisti in un crollo della diga anti-estrema destra nell’Unione Europea.