I Paesi europei sono, per nostra fortuna tutti Paesi democratici. Oddio, in qualcuno vige la “democrazia illiberale”, ma dal punto di vista delle elezioni, esse si svolgono regolarmente e quasi sempre senza contestazioni sulla libertà del voto.
In questi giorni si sono aperti i seggi per le elezioni europee, per la decima legislatura. In quasi tuti i Paesi non c’è l’obbligo di recarsi alle urne, ed anche dove c’è, come qui in Belgio, non ci sono conseguenze significative per chi si astiene. Il voto obbligatorio, almeno in questo regno, era stato introdotto per difendere gli operai, mi è stato spiegato, ai quali i datori di lavoro un tempo ponevano ostacoli all’andare alle urne, perché avrebbero votato a sinistra. Dunque l’esercizio fu reso obbligatorio, così che gli impedimenti cadessero.
Perché votare è esercizio di libertà.
Lo è anche non farlo, naturalmente. Ma, a mio giudizio, ci sono molti problemi nel non farlo. Uno è che chi sceglie di restare a casa finisce in un calderone indecifrabile di menefreghisti, di delusi, di arrabbiati, di ignavi, di impegnati… Non votando non si manda alcun segnale politico perché non c’è un messaggio leggibile nel non voto, appunto perché il fenomeno comprende troppe categorie diverse. Conosco persone che, come accennavo, non votano perché non gliene importa nulla, altre che vorrebbero ma pensano che i partiti siano tutti corrotti e “non voglio fare il loro gioco”. Altre persone, amici che stimo molto, annunciano che non voteranno perché invece sono molto politicizzati, e sono profondamente delusi dalla gestione dell’Unione europea. C’è chi non trova un partito che lo convinca. Questo capitò anche a me, nel 2019 con i partiti italiani. Ma per fortuna, grazie alla democrazia europea, come residente in Belgio ebbi il diritto di votare per le liste di questo Paese, tra le quali ce n’era una che mi convinceva, con anche un candidato in particolare del quale mi fidavo. Dunque votai con convinzione (per la cronaca, il partito andò molto bene ed il mio candidato anche, ed ha avuto un ruolo di primo piano nella legislatura appena terminata).
Non votare, nel senso in particolare di non recarsi proprio alle urne, tra l’altro non provoca alcun dubbio ai partiti che alle elezioni prendono voti. Anche quando l’astensionismo è altissimo, diciamo che sfiora il 50 per cento, una qualche coalizione comunque ottiene una maggioranza per governare, e spesso si sente intitolata a farlo anche se ha raccolto il voto del 25/30 per cento degli elettori, come se avesse avuto il consenso di oltre il 50 per cento dei cittadini. E governa, cambia le leggi, cambia le Costituzioni, interpretando il momentaneo vantaggio come il potere di rappresentare tutto o comunque la stragrande maggioranza del Paese.
La politica va avanti lo stesso, non si cruccia di quanto rappresenta, conta solo i seggi nel proprio Parlamento.
In una conversazione privata una collega ha detto questa mattina una frase molto bella, che riguarda proprio l’anima della democrazia: “Col voto puoi scegliere una persona che si impegni e a cui potrai chiedere conto. È poco, ma potrebbe pure non esserci”. Ecco, questa cosa spiega come per rispetto proprio alla democrazia, per difenderla, bisogna esercitarne i poteri. Poi, certo, si può essere delusi da qualche o da tutte le politiche dell’Unione, ma certamente tra i candidati, come ricordava la collega, “c’è qualcuno che lo dice, magari faticherà ad essere eletto, ma qualcuno c’è”.
E poi il fatto è che se non vai tu a votare, come recita uno degli slogan della campagna europea per sostenere la partecipazione, comunque qualcuno andrà a farlo e deciderà anche per te e dunque “non sarai impermeabile a questa cosa”.
Rifiutare di andare al voto non pesa, dunque sulle scelte che faranno i partiti che governeranno, ma semplicemente scredita la democrazia, la indebolisce nel suo momento forse più alto, legittimando anche chi pensa che, in fondo, alle persone non interessa partecipare, e dunque si può anche farne a meno di questo esercizio, oppure depotenziarne gli effetti, il valore. E così, quando magari tra cinque o dieci anni, quando chi non vota oggi sceglierà di farlo, si accorgerà che davvero, a quel punto, il suo voto non significa nulla, anche se il partito scelto vince e governa.