Bruxelles – È un voto storico, che restituisce – se non giustizia – quantomeno dignità alle migliaia di vittime e ai sopravvissuti di uno dei massacri più cruenti sul territorio europeo dalla Seconda Guerra Mondiale, prima di quelli compiuti dall’esercito russo in Ucraina. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato ieri sera (23 maggio) una risoluzione che istituisce l’11 luglio la Giornata internazionale di riflessione e commemorazione del genocidio di Srebrenica, con 84 Paesi a favore, 19 contrari e 68 astenuti (oltre a 22 che non hanno votato). Ma la questione si è rivelata molto più politica del previsto, non tanto per la campagna annunciata di ostruzionismo e demonizzazione della questione messa in campo da Serbia e Russia con la sponda tacita della Cina, ma soprattutto per le ripercussioni del voto dei singoli Paesi membri Ue.
La risoluzione, proposta da Germania e Rwanda e co-sponsorizzata da oltre 30 membri Onu (tra cui tutti i Paesi dell’ex-Jugoslavia tranne Serbia e Montenegro), prevede che “ogni anno” l’11 luglio sarà osservata una giornata internazionale per la memoria del genocidio di Srebrenica. Nel luglio del 1995 furono almeno 8.372 i civili bosniaci – tutti maschi, di etnia musulmana – massacrati dalle forze serbo-bosniache di Ratko Mladić (non a caso definito ‘il macellaio di Bosnia’) nei pressi dell’enclave bosgnacca di Srebrenica, nella Bosnia orientale. Sono passati quasi 30 anni da quel massacro – il più grande per numero di vittime in pochi giorni – di un genocidio durato tre anni e mezzo, dall’aprile del 1992 agli accordi di Dayton del 14 dicembre 1995. “La risoluzione sottolinea il ruolo dei tribunali internazionali nel combattere l’impunità e assicurare la responsabilità per il genocidio”, ha messo in chiaro la rappresentante permanente della Germania presso le Nazioni Unite, Antje Leendertse, precisando che “non è diretta contro nessun Paese, ma contro chi ha perpetrato il genocidio”.
Eppure questo non ha impedito al presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, di definire la risoluzione “altamente politicizzata” e di minacciare che “aprirà il vaso di Pandora“, in particolare per quanto riguarda il separatismo del presidente e alleato della Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina), Milorad Dodik. Durante il voto all’Assemblea Generale dell’Onu, il leader serbo si è avvolto in una bandiera serba, un gesto ancora più eclatante per opporsi a un documento che “condanna senza riserve” qualsiasi negazione del genocidio di Srebrenica come evento storico, così come le “azioni che glorificano coloro che sono stati condannati per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio dai tribunali internazionali”, e che chiede a tutti gli Stati membri di sviluppare “programmi appropriati” anche nei sistemi educativi “per prevenire la negazione e la distorsione e il verificarsi di genocidi in futuro”.
Il voto in sede Onu ha avuto però un impatto anche sull’Unione Europea, considerato il modo in cui si sono schierati i 27 Paesi membri. Il fronte unito a sostegno della risoluzione è stato incrinato dall’astensione di Grecia e Slovacchia, ma soprattutto dall’opposizione dell’Ungheria di Viktor Orbán, il maggiore alleato della Serbia (e della Republika Srpska) in tutta l’Unione. “Non commentiamo il voto dei singoli Paesi membri, l’Unione Europea come entità non partecipa al voto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite”, ha tagliato corto il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, rispondendo oggi (24 maggio) alle domande della stampa di Bruxelles. Anche perché come Unione Europea “abbiamo una posizione chiara, che ribadiamo ogni anno“, ovvero che “rifiutiamo ogni negazionismo, relativizzazione o dubbio su quello che è successo e che è stato stabilito anche dai Tribunali internazionali“. Due anni fa il film Quo Vadis, Aida?, basato sugli eventi che hanno visto protagoniste loro malgrado migliaia di donne bosniache a Srebrenica, ha ricevuto nell’emiciclo del Parlamento Europeo il Premio Lux 2022 del pubblico per il cinema europeo.
Il fronte Republika Srpska-Serbia-Ungheria contro Srebrenica
Il voto in sede Onu sulla risoluzione in merito al genocidio di Srebrenica evidenzia un contesto diplomatico su scala regionale e internazionale più ampio, che coinvolge indirettamente anche l’Unione Europea. Il premier ungherese Orbán sta portando avanti da anni una politica di strette relazioni diplomatiche con il serbo-bosniaco Dodik e con il presidente serbo Vučić, anche lui da sempre vicino alle aspirazioni secessioniste della Republika Srpska. I tre leader sono accomunati inoltre in vario modo da posizioni quantomeno discutibili sulla Russia e sulle sanzioni internazionali: da quella più ‘morbida’ di Orbán (in quanto membro dell’Ue) a quella ‘non-allineata’ di Vučić, fino a quella apertamente contraria di Dodik. Non va dimenticato che queste fratture all’interno della Bosnia ed Erzegovina, della regione balcanica e della stessa Unione Europea – di cui l’Ungheria rappresenta la spina nel fianco – rischiano di mettere a repentaglio il percorso di Sarajevo verso l’ingresso nell’Ue, nonostante la decisione del Consiglio Europeo dello scorso 21 marzo di avviare i negoziati di adesione.
Con il progetto secessionista della Republika Srpska avviato dall’ottobre del 2021, l’obiettivo di Dodik è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Dopo il primo progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo, il progetto si è fatto sempre più concreto nel marzo 2023, quando sono state presentate due proposte di legge: una per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero, e l’altra per reintrodurre sanzioni penali per diffamazione. La cosiddetta legge sugli ‘agenti stranieri’ è simile a quella adottata da Mosca nel dicembre 2022 ed è stata approvata a fine settembre tra le aperte critiche di Bruxelles, mentre gli emendamenti al Codice Penale sono entrati in vigore a metà agosto nonostante la condanna Ue e ora sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”.
Alle provocazioni secessioniste si è affiancata la questione del rapporto con la Russia post-invasione ucraina. Già il 20 settembre 2022 Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio 2023 con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco. Come se non bastasse, Dodik ha compiuto un secondo viaggio a Mosca il successivo 23 maggio, mentre a Bruxelles sono emerse perplessità sulla mancata reazione da parte dell’Unione con sanzioni.
In verità, di fronte alle politiche secessioniste di Dodik e alla vicinanza sempre più esplicita a Putin (per niente dissimulata nemmeno da parte del premier ungherese Orbán), l’Unione Europea ha già da più di due anni un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato. Tuttavia, come rivelato da fonti Ue a Eunews a più riprese, è proprio l’Ungheria a non permettere il via libera grazie al potere di veto in Consiglio, proprio in virtù dello stretto rapporto politico tra i due leader (più Vučić) che aspirano a vedere realizzato il progetto secessionista della Republika Srpska e che si oppongono con il proprio revisionismo storico al riconoscimento del genocidio di Srebrenica.
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