Bruxelles – In Georgia l’inevitabile si sta concretizzando e la palla dello scontro istituzionale sta prendendo velocità lungo il piano inclinato di una legge di ispirazione filo-russa che sta continuando a provocare una rottura insanabile tra maggioranza di governo e società civile, ma anche con l’Unione Europea a cui la Georgia aspira ad aderire. Perché il Parlamento georgiano è pronto ad annullare il veto posto dalla presidente della Repubblica, Salomé Zourabichvili, alla legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, esasperando il livello di tensione politica nel Paese e mettendo probabilmente la pietra tombale (almeno per il momento) sulle aspirazioni di Tbilisi di avvicinarsi all’adesione Ue e Nato.
“La legge sulla trasparenza ci aiuterà a garantire la stabilità a lungo termine in Georgia, che à necessaria per il nostro Paese e il nostro popolo”, è quanto riferito dal primo ministro, Irakli Kobakhidze, durante la riunione di governo di questa mattina (20 maggio), a due giorni dalla decisione della capa di Stato di opporsi al progetto di legge – voluto fortemente dal partito al potere Sogno Georgiano – perché “è russo nella sua essenza e contraddice la nostra Costituzione“. Dopo l’approvazione della legge in terza lettura lo scorso 14 maggio, era atteso il veto presidenziale più come gesto simbolico che per un’efficacia nei fatti: il governo sapeva di poter utilizzare la propria maggioranza schiacciante in Parlamento per annullare il veto e far diventare legge la ‘trasparenza dell’influenza straniera’, con il quarto – e ultimo – voto che dovrebbe arrivare già nel corso dei prossimi giorni.
La legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’ era stata presentata lo scorso anno da Sogno Georgiano e messa in stallo dopo l’ondata oceanica di proteste del marzo 2023. Con un leggero emendamento al testo, a inizio aprile la legge è stata ripresentata dal governo: tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero dovrebbero registrarsi come ‘organizzazione che persegue gli interessi di una potenza straniera’ (simile ad ‘agente di influenza straniera’ in vigore in Russia dal primo dicembre 2022). Dopo settimane di altissima tensione dentro e fuori il Parlamento di Tbilisi, e decine di migliaia di cittadini ad animare la più grande ondata di proteste dall’indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1991 – ogni giorno ininterrottamente per ormai quasi due mesi – il partito al governo ha deciso di tirare dritto con la propria iniziativa legislativa prima del ritorno alle urne il 26 ottobre. E mostrando una disponibilità ad aumentare la portata della violenza messa in campo dalla polizia anti-sommossa e dagli agenti in passamontagna contro i manifestanti pacifici pro-Ue che ha allarmato non poco le istituzioni Ue.
“L’adozione di questa legge ha un impatto negativo sui progressi della Georgia nel percorso di adesione all’Ue“, è stato l’avvertimento dell’Unione Europea in dichiarazione pubblicata il giorno successivo all’adozione del progetto legislativo, con l’esortazione alle autorità di Tbilisi e il partito al potere Sogno Georgiano di “ritirare la legge, mantenere l’impegno verso il percorso dell’Ue e a portare avanti le riforme necessarie”. Mentre il livello di tensione diplomatica tra Tbilisi e Bruxelles sta aumentando esponenzialmente, il numero uno del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha predicato calma e “un momento di ulteriore riflessione” offerto dal veto della presidente Zourabichvili: “Nella sua forma attuale la legge non è in linea con i valori e il percorso Ue”, ha messo in chiaro il leader dell’istituzione dell’Unione, invitando “tutti i politici e i leader georgiani a fare buon uso di questa finestra di opportunità” per non discostarsi dalla “rotta europea sostenuta dalla popolazione”. Nonostante lo status di Paese candidato ricevuto il 14 dicembre 2023 dal Consiglio Europeo, a Bruxelles non è più un segreto che l’entrata in vigore della legge di ispirazione filo-russa impedirebbe di aprire i negoziati di adesione all’Unione Europea, dal momento in cui gli stessi negoziati sono vincolati ai progressi sulle raccomandazioni della Commissione Europea sulla libertà della società civile e sulla lotta alla disinformazione.
Anche i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri Ue stanno mostrando sempre più preoccupazione verso il destino della Georgia, come messo nero su bianco da una dichiarazione congiunta del presidente francese, Emmanuel Macron, e del cancelliere tedesco, Olaf Scholz, pubblicata ieri (19 maggio): “È con profondo rammarico che prendiamo nota della decisione del governo georgiano e del partito al potere di deviare da questa strada agendo contro i nostri valori europei comuni e le aspirazioni del popolo georgiano”. Mercoledì scorso (15 maggio) i ministri degli Esteri di Estonia, Lettonia Lituania e Islanda si sono uniti alla marcia di protesta delle decine di migliaia di manifestanti pro-Ue a Tbilisi, spiegando di essere “qui per sostenere le aspirazioni del popolo georgiano a far parte dell’Unione Europea e della Nato”, è stata l’esortazione del ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis. “Vedo che la speranza è viva, è nelle strade e nei cuori di tutte le persone che abbiamo incontrato fuori dal Parlamento”. Non va però dimenticato che l’unità dei 27 Paesi membri – e di conseguenza dell’Unione – è stata bloccata dalle resistenze dell’Ungheria di Viktor Orbán e della Slovacchia di Robert Fico ad adottare una dichiarazione di tutti i 27 leader Ue per condannare inequivocabilmente la legge adottata dal Parlamento georgiano.
Il complesso rapporto tra Ue e Georgia
Nonostante la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue, il rapporto tra Bruxelles e Tbilisi rimane particolarmente complesso a causa dello scollamento tra una popolazione a stragrande maggioranza filo-Ue e un governo di tendenze filo-russe, lo stesso che ha fatto richiesta di aderire all’Unione per i timori sollevati dall’espansionismo del Cremlino. Nel corso degli ultimi due anni si sono registrati diversi episodi che hanno evidenziato l’ambiguità del partito al potere Sogno Georgiano: nel maggio 2023 sono ripresi dei voli tra Georgia e Russia dopo la decisione di Mosca di eliminare il divieto in vigore, e il Paese caucasico non si è mai allineato alle misure restrittive introdotte da Bruxelles contro il Cremlino dopo l’invasione dell’Ucraina. Lo scorso autunno il governo ha anche tentato di mettere sotto impeachment (fallito) la presidente della Repubblica Zourabichvili per una serie di viaggi nell’Unione Europea che avrebbero rappresentato una violazione dei poteri della capa di Stato secondo la Costituzione nazionale.
Ma la popolazione georgiana da anni dimostra di non condividere la direzione assunta da Sogno Georgiano e anche per questo motivo saranno cruciali le elezioni per il rinnovo del Parlamento il 26 ottobre. A cavallo della decisione di Bruxelles nel giugno 2022 di non concedere per il momento alla Georgia lo status di candidato all’adesione, a Tbilisi si sono svolte due grandi manifestazioni pro-Ue: una ‘marcia per l’Europa’ per ribadire l’allineamento del popolo ai valori dell’Unione e una richiesta di piazza di dimissioni del governo (senza seguito da parte dell’esecutivo allora guidato da Garibashvili). I tratti comuni evidenziati a partire da queste manifestazioni sono le bandiere – bianca e rossa delle cinque croci (nazionale) e con le dodici stelle su campo blu (dell’Ue) – cartelli con rivendicazioni europeiste e l’inno georgiano intervallato dall’Inno alla Gioia. Un anno più tardi sono scoppiate le dure proteste popolari nel marzo 2023 – appoggiate da Bruxelles – che hanno portato al momentaneo accantonamento del controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’, fino all’approvazione di questa primavera nel pieno di una nuova ondata di proteste popolari.
In questo scenario non va dimenticato il rapporto particolarmente delicato della Georgia con la Russia, Paese con cui confina a nord. La candidatura all’adesione Ue e Nato – sancita dalla Costituzione nazionale – da tempo è causa di tensioni con il Cremlino. Dopo i conflitti degli anni Novanta con le due regioni separatiste dell’Ossezia del Sud (1991-1992) e dell’Abkhazia (1991-1993) a seguito dell’indipendenza della Georgia nel 1991 dall’Unione Sovietica, sul terreno la situazione è rimasta di fatto congelata per 15 anni, con le truppe della neonata Federazione Russa a difendere i secessionisti all’interno del territorio rivendicato. Il tentativo di riaffermare il controllo di Tbilisi sulle due regioni nell’estate del 2008 – voluto dall’allora presidente Mikheil Saakashvili – determinò il 7 agosto una violenta reazione russa non solo nel respingere l’offensiva dell’esercito georgiano, ma portando anche all’invasione del resto del territorio nazionale con carri armati e incursioni aeree per cinque giorni. Da allora la Russia di Vladimir Putin riconosce l’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud e ha dislocato migliaia di soldati nei due territori per aumentare la propria sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia, in violazione degli accordi del 12 agosto 2008.