Bruxelles – Nella notte tra il 6 e il 7 maggio, Israele ha mosso le prime pedine della temuta – e osteggiata dalla comunità internazionale – operazione militare a Rafah, città nel sud della Striscia di Gaza dove si sono rifugiati più di un milione di sfollati palestinesi. Proprio mentre Hamas aveva accettato l’accordo per il cessate il fuoco e la liberazione di una parte degli ostaggi, ritenuto però da Tel Aviv “ben lontano da soddisfare le richieste di Israele”.
A seguito dell’uccisione di quattro soldati israeliani in un attacco di gruppi armati palestinesi, le forze di difesa israeliane avrebbero chiuso in modo congiunto i due varchi al confine con l’Egitto, Rafah e Kerem Shalom, e – secondo quanto denunciato dall’ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) – starebbero momentaneamente bloccando l’ingresso degli aiuti alla popolazione civile. Mentre l’Associated Press ha riportato che almeno 23 palestinesi, tra cui almeno sei donne e cinque bambini, sarebbero morti nella raffica di attacchi e bombardamenti a Rafah effettuata dall’esercito israeliano durante la notte.
“L’ultima triste notizia è che non esiste un accordo per un cessate il fuoco. Hamas ha accettato, Israele ha rifiutato e l’offensiva terrestre contro Rafah è ricominciata, nonostante tutte le richieste della comunità internazionale”, ha commentato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, in un punto stampa a Bruxelles. Nonostante Israele abbia ordinato l’evacuazione della parte orientale di Rafah verso una cosiddetta “area umanitaria allargata” ad Al Mawassi, cittadina sulla costa meridionale della Striscia, Borrell teme che “ciò causerà nuovamente molte vittime, vittime civili, qualunque cosa si dica”. Perché – come già sottolineato dalle Nazioni Unite – “non esistono zone sicure a Gaza“.
Oltretutto, Ocha spiega che l’area da evacuare comprende nove siti che ospitano sfollati, tre cliniche e sei magazzini per la distribuzione di aiuti umanitari. “Con gli ordini di evacuazione odierni, 277 chilometri quadrati o circa il 76 per cento della Striscia di Gaza sono stati posti sotto ordine di evacuazione”, sottolinea l’ufficio dell’Onu. A Rafah, dal 7 ottobre a oggi, si sono man mano rifugiati circa 1,4 milioni di sfollati. Ultimo grande centro abitato non ancora raso al suolo dai bombardamenti israeliani, da settimane è al centro di un braccio di ferro tra Tel Aviv e la comunità internazionale, con le Nazioni Unite e l’Unione europea in testa a chiedere con fermezza a Netanyahu di rinunciare all’invasione.
Ma secondo Israele la vittoria su Hamas è impossibile senza prendere anche la roccaforte dove si nasconderebbero migliaia di combattenti e dove sarebbero custoditi gli oltre cento ostaggi ancora in mano al gruppo terroristico palestinese. L’invasione di Rafah sarebbe “intollerabile” per le sue “devastanti conseguenze umanitarie e l’impatto destabilizzante nella regione“, ha dichiarato il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, a cui ha fatto eco anche il commissario Ue per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič: “Un’offensiva di terra su Rafah è totalmente inaccettabile. Aggiungerebbe una catastrofe alla catastrofe”.
La scorsa settimana, nel corso di un dibattito a Maastricht, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, aveva definito “totalmente inaccettabile” un eventuale attacco a Rafah, affermando che la Commissione avrebbe preso misure concrete nel caso di un’invasione israeliana. Ora che Netanyahu sembra aver definitivamente forzato la mano, “rifletteremo con i Paesi membri sulla risposta più appropriata“, ha dichiarato il portavoce del Servizio Europeo di Azione Esterna (Seae), Peter Stano. Alla prossima riunione dei ministri degli Esteri dei 27, il prossimo 27 maggio.