Bruxelles – Dopo mesi di misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo scarsamente giustificate dalla Commissione Europea per gli episodi di violenza dello scorso anno nel nord del Paese – mentre sono rimaste lettera morta le sanzioni contro la Serbia, non meno responsabile per gli stessi eventi – ora le istituzioni Ue sono chiamate a prendere seriamente in considerazione la necessità di ritirarle, visto l’impegno di Pristina nel mettere a terra tutti i passi richiesti dal piano per la de-escalation tracciato l’estate scorsa da Bruxelles. “Il Consiglio discuterà le misure dell’Ue sulla base di una relazione dell’alto rappresentante sull’adempimento delle richieste dell’Unione“, ha ricordato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, commentando a Eunews i prossimi passi dopo le elezioni anticipate nei quattro comuni del nord del Kosovo al centro da un anno di una controversia diplomatica che ha scatenato l’ondata di violenza tra maggio e settembre.
Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica sono i quattro comuni in cui sono andate in scena domenica scorsa (21 aprile) le elezioni anticipate per ripetere il voto contestato dell’aprile 2023. Così come richiesto dal Consiglio Affari Generali il 12 dicembre dello scorso anno, il governo di Pristina ha fatto in modo che la componente etnica serba potesse partecipare “attivamente, senza alcuna condizione preliminare”. Tuttavia, proprio come accaduto nella primavera 2023, il maggiore partito serbo-kosovaro Lista Srpska ha deciso di boicottare le elezioni, determinando “una serie di difficoltà, tra cui la costituzione di alcune commissioni elettorali senza alcun membro serbo del Kosovo”, ha ricordato il portavoce Stano, ponendo l’accento sull’accusa di Bruxelles all’indirizzo di Lista Srpska per aver “perso l’opportunità di esercitare il diritto di voto e di eleggere sindaci realmente rappresentativi”. Un risultato che, di nuovo, “non contribuisce a disinnescare le tensioni e a spianare la strada per il ritorno dei serbi nelle istituzioni” del Kosovo, tappa “essenziale per la normalizzazione delle relazioni” all’interno del Paese e con la vicina Serbia (il cui presidente, Aleksandar Vučić, controlla indirettamente Lista Srpska).
Allo stesso tempo però le istituzioni Ue devono fare ora i conti con le richieste pressanti da Pristina di ritirare le misure “temporanee e reversibili” imposte a fine giugno dello scorso anno a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione scaturita dopo l’insediamento dei quattro sindaci. Queste misure – che sono attualmente in vigore – prevedono la sospensione del lavoro degli organi dell’Accordo di stabilizzazione e associazione e delle visite bilaterali (fatta eccezione per quelle del dialogo Pristina-Belgrado), il congelamento della programmazione dei fondi per il Kosovo nell’ambito dell’esercizio di programmazione Ipa 2024 (Strumento di assistenza pre-adesione) e delle proposte presentate da Pristina nell’ambito del Quadro per gli investimenti nei Balcani Occidentali (Wbif). Per eliminare queste misure era stata concordata il 12 luglio una tabella di marcia con quattro tappe, che prevedeva anche il ritorno alle urne anticipato nei quattro comuni nel nord del Paese.
“Il Kosovo ha dimostrato ancora una volta maturità, organizzazione esemplare e pieno rispetto delle leggi e della Costituzione, offrendo a tutte le comunità, senza distinzioni, l’opportunità di scegliere i propri rappresentanti”, ha rivendicato la presidente kosovara, Vjosa Osmani, esortando Bruxelles a “revocare immediatamente le misure ingiuste contro il Kosovo” dopo aver “soddisfatto tutte le condizioni richieste dall’Ue”. Sulla stessa linea il primo ministro, Albin Kurti: “Ogni fase del processo necessario per rendere possibile il voto è stata intrapresa dal nostro governo”, ha messo in chiaro in un post su X, ricordando non solo che “anche questo voto è stato boicottato e la soglia minima legale per le dimissioni dei sindaci non è stata quindi raggiunta”, ma soprattutto che “abbiamo rispettato i nostri obblighi“. Al momento il portavoce del Seae non ha saputo ancora fornire indicazioni precise su quando l’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, presenterà la relazione ai 27 ministri Ue responsabili per gli Affari europei ma – se sarà prima delle elezioni del 6-9 giugno – si dovrà fare attenzione al Consiglio Affari Generali informale del 29-30 aprile e a quello ordinario del 21 maggio.
Le tensioni tra Kosovo e Serbia
È da quasi un anno che la relazione tra Serbia e Kosovo è entrata in una delle fasi più difficili e violente dalla dichiarazione (unilaterale) di indipendenza di Pristina da Belgrado nel febbraio 2008. Proprio a causa dell’insediamento dei neo-eletti sindaci di Zubin Potok, Zvečan, Leposavić e Kosovska Mitrovica (gli stessi comuni in cui si sono tenute la scorsa settimana le nuove elezioni) il 26 maggio 2023 sono scoppiate violentissime proteste da parte delle frange estremiste della minoranza serba, trasformatesi il 29 maggio in una guerriglia che ha coinvolto anche i soldati della missione internazionale Kfor a guida Nato. La tensione è deflagrata per la decisione del governo di Albin Kurti di far intervenire le forze speciali di polizia per permettere l’ingresso nei municipi ai sindaci eletti il 23 aprile, in una tornata elettorale controversa per la bassissima affluenza al voto.
Nel frattempo il 14 giugno è andato in scena un arresto/rapimento di tre poliziotti kosovari da parte dei servizi di sicurezza serbi, per cui i governi di Pristina e Belgrado si sono accusati a vicenda di sconfinamento delle rispettive forze dell’ordine. Bruxelles ha convocato una riunione d’emergenza con il premier Kurti e il presidente Vučić per uscire dalla “modalità gestione della crisi” e solo il 22 giugno è arrivata la scarcerazione dei tre poliziotti kosovari. Ma a causa del mancato “atteggiamento costruttivo” da parte di Pristina per la de-escalation della tensione, Bruxelles ha imposto a fine giugno misure “temporanee e reversibili” contro il Kosovo (ancora in atto, nonostante la tabella di marcia concordata il 12 luglio). La situazione è però degenerata con l’attacco terroristico del 24 settembre nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Banjska. Nella giornata di scontri tra la Polizia del Kosovo e un gruppo di una trentina di uomini armati sono rimasti uccisi un poliziotto e tre attentatori.
Gli sviluppi dell’attentato hanno evidenziato chiare diramazioni nella vicina Serbia. Tra gli attentatori all’esterno del monastero c’era anche Milan Radoičić, vice-capo di Lista Srpska – come confermato da lui stesso qualche giorno dopo l’attacco armato – oltre a Milorad Jevtić, stretto collaboratore del figlio del presidente serbo, Danilo Vučić. A peggiorare il quadro un “grande dispiegamento militare” serbo lungo il confine amministrativo denunciato dagli Stati Uniti. La minaccia non si è concretizzata, ma l’Ue ha iniziato a riflettere sulla possibilità di imporre le stesse misure in vigore contro Pristina anche ai danni di Belgrado. Ma per il via libera serve l’unanimità in Consiglio e il più stretto alleato di Vučić dentro l’Unione – il premier ungherese, Viktor Orbán – ha posto il veto. Come se non bastasse, prima delle elezioni anticipate in Serbia il 17 dicembre, l’ultimo atto del governo guidato da Ana Brnabić è stato inviare una lettera a Bruxelles per avvertire che le istituzioni serbe non riconoscono il valore giuridico degli impegni verbali presi nel contesto del dialogo Pristina-Belgrado e che non sarà riconosciuta nemmeno de facto la sovranità del Kosovo.
L’unica notizia positiva al momento è la risoluzione della ‘battaglia delle targhe’ tra Serbia e Kosovo, grazie alla decisione arrivata tra fine 2023 e inizio 2024 sul mutuo riconoscimento per i veicoli in ingresso alla frontiera. Anche considerati i presupposti non promettenti su cui si sta impostando il nuovo anno. Con l’entrata in vigore del Regolamento sulla trasparenza e stabilità dei flussi finanziari e sulla lotta al riciclaggio di denaro e alla contraffazione, dal primo febbraio l’euro è diventato l’unica valuta di cambio e di deposito nei conti bancari: il dinaro serbo può ancora essere scambiato al pari del lek albanese o del dollaro, ma la decisione avrà un impatto su tutti quei servizi pubblici che non si mai adeguati all’adozione dell’euro da parte di Pristina nel 2002 (ancora prima dell’indipendenza).
Il 5 febbraio hanno sollevato polemiche a Bruxelles le operazioni di polizia speciale presso gli uffici delle istituzioni temporanee gestite dalla Serbia in quattro comuni del nord del Kosovo (Dragash, Pejë, Istog e Klinë) e presso la sede dell’Ong Center For Peace and Tolerance a Pristina: dal 2008 Belgrado ha continuato a finanziare comuni, aziende, imprese pubbliche, asili, scuole, università pubbliche e ospedali a disposizione della minoranza serba, in modo illegale secondo la Costituzione del Kosovo. Il tutto mentre procede – e sembra ormai inarrestabile nonostante l’opposizione serba – il processo di adesione del Kosovo al Consiglio d’Europa, che costituirebbe il primo ingresso del suo Paese balcanico in un’organizzazione internazionale dalla dichiarazione di indipendenza nel 2008.
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