Bruxelles – Addio ai motori tradizionali dal 2035, per auto e veicoli commerciali leggeri meno inquinanti e più a misura di Green Deal e dei suoi obiettivi di sostenibilità. Tutto molto rivoluzionario, tutto molto alternativo, ma tutto molto poco praticabile. La Corte dei conti dell’Ue rimette in discussione l’intero impianto dell’agenda a dodici stelle, con una valutazione sulle politiche di mobilità dai pochi elogi e dalle tante critiche. C’è praticamente tutto a non funzionare, secondo i revisori dei conti: batterie costose da produrre e vendere, estrema dipendenza dall’estero, carburanti alternativi insostenibili, poche colonnine elettriche. “Una strada in salita“, insomma, per dirla nei termini usati dai revisori di Lussemburgo.
L’Ue ha messo i veicoli elettrici a batteria al centro della propria ambiziosa politica per un parco auto a emissioni zero, e su questo la Corte dei conti sente la necessità di lavorare per “conciliare il Green Deal non solo con la sovranità industriale, ma anche con l’accessibilità economica per i consumatori“. Vuol dire fare in modo, “con urgenza”, che l’industria europea possa produrre auto elettriche su vasta scala a prezzi competitivi, garantendo al tempo stesso la sicurezza dell’approvvigionamento di materie prime e potenziando le infrastrutture di ricarica in tutto il continente. Cosa che così non appare.
“L’industria europea delle batterie è in ritardo rispetto ai concorrenti mondiali, mettendo potenzialmente in crisi la capacità interna prima che questa sia al massimo regime”, avverte la Corte dei conti nella sua relazione. Allo stato attuale meno del 10 per cento della produzione mondiale di batterie è localizzata in Europa e per la stragrande maggioranza è in mano ad imprese non europee. A livello mondiale, la Cina controlla i tre quarti delle quote di mercato (76 per cento). Inoltre, l’Ue dipende per l’87 per cento del suo bisogno di litio grezzo dall’Australia, per l’80 per cento del bisogno di manganese dall’import di Sud Africa e Gabon, per il 68 per cento del cobalto dalla Repubblica democratica del Congo e per il 40 per cento della grafite dalla Cina.
Ma più in generale è l’intera politica per la mobilità sostenibile a essere in discussione. Per azzerare le emissioni al 2050, come vorrebbero gli obiettivi proposti dalla Commissione e sostenuti, non senza attriti, da Consiglio e Parlamento, “è necessario diminuire le emissioni di carbonio prodotte dalle autovetture a motore endotermico, esplorare le opzioni di combustibili alternativi e favorire la diffusione dei veicoli elettrici sul mercato di massa”, fanno notare i revisori di Lussemburgo. Tuttavia “il primo punto non si è finora concretizzato, il secondo risulta non essere sostenibile su vasta scala e il terzo rischia di essere costoso sia per l’industria sia per i consumatori dell’Ue”. Insomma, ben venga l’intenzione di avere auto pulite. Però “questa ambizione, di per sé lodevole, pone notevoli sfide, con molteplici ostacoli da superare”.