Bruxelles – Esultano un po’ tutti in Croazia dopo il voto anticipato di ieri (17 aprile) per il rinnovo del Parlamento, ma a vincere davvero è l’incertezza post-elettorale per la formazione del prossimo governo. Perché il primo ministro uscente, il conservatore Andrej Plenković, è in corsa per il terzo mandato consecutivo, anche se ha perso seggi fondamentali per continuare con l’attuale coalizione e dovrà avviare difficilissimi colloqui con l’estrema destra nazionalista per il via libera a un nuovo esecutivo. E perché i socialdemocratici guidati dal popolare ma controverso presidente della Repubblica, Zoran Milanović, insieme alla sinistra verde di Možemo sono sì in crescita e intenzionati a esplorare strade per strappare il potere ai conservatori, ma rimangono lontani dal numero sufficiente di deputati al Sabor per prendere subito le redini delle consultazioni post-elettorali.
Quando ormai si è arrivati alla quasi totalità delle schede spogliate – e un record di affluenza peri al 61,83 per cento – i risultati delle elezioni anticipate in Croazia hanno visto la riconferma dell’Unione Democratica Croata (Hdz) di Plenković come primo partito con il 34,42 per cento dei voti, ma in calo di quasi tre punti percentuali rispetto al voto di quattro anni fa e soprattutto di cinque seggi al Parlamento (61 su 151). Un calo decisivo che, nonostante le rivendicazioni vittoria “in modo convincente” – parola del premier uscente Plenković – non permette ai conservatori di continuare con la tradizionale coalizione di centro-destra degli ultimi otto anni. Al secondo posto si è rinsaldata la posizione della coalizione di centro-sinistra ‘Fiumi di giustizia’ guidata dal Partito Socialdemocratico di Croazia (Sdp), con il 25,41 per cento dei voti e 42 seggi al Sabor (+1), ancora lontana però dal primo posto sperato alla vigilia del voto. “Non è finita, la gente vuole un cambiamento e da domani inizieremo i colloqui”, ha rivendicato il leader dell’Sdp, Peđa Grbin.
Più che un terzo mandato scontato per Plenković o un ribaltone a sinistra, l’esito delle urne indica piuttosto un verosimile periodo di instabilità politica in apertura del super-anno elettorale, in cui si terranno anche le elezioni europee (il 9 giugno) e le presidenziali (a dicembre). È per questo che bisogna guardare ai risultati degli altri partiti più piccoli, con cui le due principali forze politiche saranno costrette a cercare intese per evitare un nuovo ritorno alle urne. In primis il partito nazionalista di estrema destra Movimento per la Patria, confermatosi al terzo posto con il 9,56 per cento delle preferenze e 14 seggi (-2) e che potrebbe diventare l’ago della bilancia per un nuovo governo sbilanciato ancora più a destra, sia che si vada nella direzione di un appoggio esterno a un governo dell’Hdz sia nella più complessa inclusione nella squadra di ministri. Più difficile invece un dialogo con gli ultra-conservatori di Most in crescita all’8,02 per cento (e 11 seggi, tre in più della legislatura appena terminata). Dall’altra parte dello spettro politico, anche la sinistra verde di Možemo ha visto una crescita di tre seggi (10, con il 9,1 per cento), che gli permette di accreditarsi come partner di minoranza dei socialdemocratici. Alle due forze mancherebbero però – almeno – 14 deputati rispetto ai 76 necessari per la maggioranza parlamentare.
Lo scenario politico in Croazia
Fino all’inizio dell’anno l’Hdz del premier Plenković sembrava avviato a una tranquilla riconferma alle elezioni previste per l’autunno, fino a quando a inizio marzo lo stesso esecutivo ha deciso di anticiparle a prima delle europee di giugno per cercare di limitare i danni politici dell’ondata di proteste nelle maggiori città del Paese. Oltre alle pressioni di singole categorie professionali per l’insoddisfazione nei confronti delle politiche del gabinetto Plenković – dagli insegnanti ai giudici e i medici per i salari, fino ai giornalisti contro le modifiche al Codice Penale per rendere un reato la pubblicazione di fughe di notizie – sono stati i partiti di centro e sinistra a catalizzare la volontà di “difendere la democrazia”. In particolare le proteste hanno riguardato la nomina di Ivan Turudić a procuratore generale con il via libera dei deputati croati (il giuramento si è svolto il 13 marzo), a causa della sua vicinanza all’Hdz e alla possibile protezione di Plenković da casi di corruzione nel caso perdesse l’immunità dopo la tornata elettorale.
A sconvolgere davvero la campagna elettorale è stato però il presidente Milanović, che ha sorpreso gli elettori con l’annuncio della sua candidatura a primo ministro alla testa dei socialdemocratici croati. Tuttavia, la Corte Costituzionale ha subito dichiarato incostituzionale la candidatura di Milanović a primo ministro della Croazia, se non si fosse prima dimesso dalla carica attualmente ricoperta: decisione bollata come “analfabeta” da parte dello stesso presidente della Repubblica, che ha continuato a girare il Paese per fare campagna elettorale per l’Sdp e la coalizione di centro-sinistra. Il presidente della Repubblica in carica dal 2020 e già premier tra il 2011 e il 2016 è il personaggio politico più popolare in Croazia, ma la sua retorica ambigua nei confronti della Russia e della guerra in Ucraina, così come quella sul rapporto con il leader della Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba in Bosnia ed Erzegovina), Milorad Dodik, e con il primo ministro ungherese, Viktor Orbán, lo rendono una mina vagante per l’elettorato più giovane e progressista.
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