Bruxelles – Il ‘Piepergate’ potrebbe essere arrivato al capolinea, con un colpo di scena dell’ultimo minuto. Dopo le aspre polemiche scoppiate all’interno e all’esterno della Commissione Europea a seguito della nomina dell’eurodeputato Markus Pieper a inviato Ue per le piccole e medie imprese (Pmi), alla vigilia dell’assunzione dell’incarico è stato lo stesso capo-delegazione della Cdu (Unione Cristiano-Democratica di Germania) al Parlamento Europeo a fare un passo indietro e rinunciare alla carica affidatagli dalla presidente dell’esecutivo Ue – e compagna di partito – Ursula von der Leyen. Dimissioni anticipate non scontate ma nemmeno così sorprendenti, arrivate al termine di un processo di selezione che ha sollevato non poche perplessità sulla capacità della stessa numero uno del Berlaymont di assumersi le responsabilità politiche delle proprie scelte (anche forzate).
Proprio von der Leyen ha commentato nella tarda serata di ieri (15 aprile) il passo indietro di Pieper, con una nota in cui spiega di “rispettare e dispiacersi” della decisione dell’inviato per le Pmi da lei nominato e non mostrando alcun ripensamento nonostante settimane di polverone politico e mediatico: “Markus Pieper è un comprovato esperto di Pmi e ha prevalso in un processo di selezione in più fasi“. Al contrario von der Leyen ha voluto rimarcare che “l’autonomia di ciascuna istituzione dell’Ue nella nomina dei suoi alti funzionari deve essere rispettata“, un attacco sibillino al Parlamento Europeo che solo la settimana scorsa aveva bocciato con un voto a larghissima maggioranza in sessione plenaria la scelta della presidente della Commissione. Quando Pieper avrebbe dovuto assumere l’incarico a partire da oggi (16 aprile) – la firma del contratto era arrivata il 31 marzo, la domenica di Pasqua – von der Leyen ha deciso di sospendere la riapertura delle procedure di selezione per la posizione di inviato Ue per le Pmi “fino a dopo le elezioni europee”.
La rinuncia di Pieper nel tardo pomeriggio di ieri è stata accompagnata da un attacco frontale dello stesso eurodeputato tedesco all’indirizzo del commissario europeo responsabile per il Mercato interno e a cui dovrebbe riportare l’inviato Ue per le Pmi, Thierry Breton. “Considerato che Breton ha boicottato in anticipo il mio insediamento all’interno della Commissione, al momento non vedo alcuna possibilità di soddisfare le legittime aspettative associate alla carica“, ha dichiarato Pieper al quotidiano tedesco Handelsblatt, puntando il dito contro il “cattivo stile e motivato esclusivamente dalla politica di partito” (Breton è indipendente, ma commissario europeo scelto dal presidente francese, Emmanuel Macron).
Laconico il commento dello stesso commissario per il Mercato interno: “Prendo atto delle dimissioni del signor Pieper a seguito del voto del Parlamento Europeo della scorsa settimana”, ha scritto questa mattina in un post su X, rimarcando che “trasparenza e collegialità sono e devono sempre rimanere i nostri valori cardine“. E Breton non ha risparmiato una frecciata nemmeno alla sua stessa presidente all’interno del Collegio dei commissari, specificamente a proposito dei tempi di riapertura del processo di selezione: “Spero che questa importante posizione per le Pmi venga ricoperta al più presto“.
Il caso ‘Piepergate’
Tutto è iniziato lo scorso 31 gennaio, quando i servizi della Commissione Europea hanno reso nota la nomina di Pieper a inviato Ue per le Pmi – per tenere uno “stretto rapporto” con i rappresentanti imprenditoriali nazionali – entrando in carica “successivamente” e riferendo direttamente alla presidente von der Leyen e al commissario Breton. Secondo quanto riferito dal Berlaymont, Pieper vanterebbe “una vasta esperienza e competenza nelle politiche per le Pmi” in qualità di membro della commissione per l’Industria, la ricerca e l’energia (Itre) dell’Eurocamera in questa legislatura (è eurodeputato dal 2004) e avrebbe dimostrato “un’esperienza encomiabile” nelle relazioni strategiche “con una gamma diversificata di parti interessate, dimostrando forti capacità di leadership, di advocacy e di negoziazione”.
I primi dubbi sulla scelta del cristiano-democratico Pieper sono stati sollevati da 12 eurodeputati dei gruppi Verdi/Ale, S&D, Renew Europe e La Sinistra, con un’interrogazione scritta datata 29 febbraio. Alla Commissione era richiesto di rispondere sulle “qualifiche aggiuntive” che hanno permesso a Pieper di superare gli altri candidati nella procedura di selezione e sugli “interrogativi sulla trasparenza del processo e sull’influenza del presidente della Commissione“. Non è un caso se l’eurodeputata ceca Martina Dlabajová (Renew Europe), candidata alla carica, ha presentato immediatamente ricorso alla direzione generale Risorse umane della Commissione.
Dopo l’interrogazione parlamentare sul ‘Piepergate’ rimasta ignorata per un mese da parte della presidente von der Leyen, il 27 marzo quattro membri del Collegio – oltre a Breton, anche Paolo Gentiloni (responsabile per l’Economia), Nicolas Schmit (per il Lavoro e i diritti sociali, nonché Spitzenkandidat del Partito Socialista Europeo) e Josep Borrell (vice-presidente della Commissione e alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza) – hanno scritto una lettera alla presidente della Commissione per chiedere esplicitamente di discutere “alla prima occasione possibile” all’interno del Collegio su “queste accuse e il possibile impatto sulle prossime fasi del processo di assunzione” di Pieper. Oltre alle affiliazioni partitiche (Gentiloni, Schmit e Borrell sono socialdemocratici, Breton liberale), a determinare l’azione dei quattro commissari sarebbe stato il fatto che la stessa presidente von der Leyen avrebbe bypassato la raccomandazione a favore di Dlabajová da parte di Breton, responsabile per il giudizio sul candidato più idoneo.
A rispondere alla lettera dei quattro commissari è stato il collega responsabile per il Bilancio, Johannes Hahn – anche lui della famiglia dei popolari europei come von der Leyen e Pieper – che su delega della presidente ha assicurato che “la decisione è del tutto in linea con le regole”. Tuttavia gli stessi quattro commissari hanno indirizzato una seconda lettera a von der Leyen, puntando il dito sul fatto che la nomina non avrebbe tenuto conto della regola della collegialità che prevede la partecipazione di tutti i commissari nel processo di selezione. Proprio per questo motivo mezzo Collegio sarebbe in rivolta contro la sua stessa presidente, con altri sette membri insoddisfatti: Margrethe Vestager (vicepresidente esecutiva e commissaria per la Concorrenza), Věra Jourová (vicepresidente per i Valori e la trasparenza), Didier Reynders (responsabile per la Giustizia), Elisa Ferreira (per la Coesione e le riforme), Kadri Simson (per l’Energia), Janez Lenarčič (per la Gestione delle crisi) e Helena Dalli (per l’Uguaglianza).
Il cerchio si è chiuso giovedì scorso (11 aprile) nel corso dell’ultima sessione plenaria del Parlamento Europeo, quando 382 eurodeputati (su 606) dei gruppi dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D), Renew Europe, Verdi/Ale, La Sinistra e Identità e Democrazia hanno votato contro la nomina di Pieper attraverso un emendamento al discarico del bilancio della Commissione Europea del 2022 a prima firma Daniel Freund (Verdi/Ale). “Il Parlamento Europeo osserva con preoccupazione che il candidato prescelto è un deputato uscente del partito politico tedesco della presidente von der Leyen“, è la denuncia contenuta nell’emendamento approvato dagli eurodeputati, che hanno poi esortato la Commissione a “porre rimedio alla situazione revocando la nomina e avviando un processo realmente trasparente e aperto per la selezione dell’inviato dell’Ue per le Pmi”. Solo il Partito Popolare Europeo – oltre all’astensione dei Conservatori e Riformisti Europei – si è schierato a sostegno di von der Leyen e della scelta del compagno di partito della Cdu (partito membro della famiglia europea dei popolari, appunto).