Bruxelles – Senza un piano sostanzioso per l’ammodernamento delle infrastrutture energetiche, la transizione verde dell’Ue rischia di rimanere un sogno nel cassetto. I ministri dell’Energia dell’Ue convergono compatti su questo punto: Bruxelles deve accelerare sulla costruzione delle reti elettriche su tutto il territorio europeo, tenendo a mente l’obiettivo finale. Quello della neutralità energetica da raggiungere entro la metà del secolo.
Al Consiglio informale Energia, tenutosi a Bruxelles il 15 e 16 aprile, la presidenza belga del Consiglio dell’Ue e il vicepresidente della Commissione europea responsabile per il Green Deal, Maroš Šefčovič, hanno invitato i ministri dei 27 a discutere sulla necessità di una rete elettrica europea meglio coordinata e integrata, degli aspetti finanziari e di riduzione del rischio degli investimenti transfrontalieri nelle infrastrutture elettriche e di come garantire la resilienza della rete.
Perché l’accelerazione nell’utilizzo di energia pulita deve andare di pari passo con lo sviluppo delle arterie per la sua distribuzione: “Se non si riesce a portarla nelle case e nelle industrie è inutile“, ha commentato a margine dei lavori la ministra dell’Energia del Belgio, Tinne Van der Straeten. Servono risorse, e in quantità ingente: “Abbiamo bisogno degli strumenti giusti, di un quadro normativo favorevole e di denaro per fare investimenti enormi per le infrastrutture“, ha suggerito la ministra.
Secondo i numeri messi sul tavolo dalla Commissione europea, il dato di partenza è che il 40 per cento degli impianti e dei corridoi per il trasporto d’energia in Ue hanno già più di 40 anni. “Dobbiamo raddoppiare la nostra infrastruttura di trasmissione transfrontaliera esistente entro il 2030 e per il semplice aggiornamento abbiamo bisogno di quasi 600 miliardi di euro di investimenti”, ha dichiarato Šefčovič. Ma l’orizzonte finale da tenere a mente è quello del 2050, quando Bruxelles vuole raggiungere la neutralità energetica: “Per raggiungere gli obiettivi del 2050 dovremo trasportare tre volte l’energia che trasportiamo oggi, perché dovremo elettrificare quasi tutto“, ha avvertito il responsabile dell’esecutivo per il Green Deal.
L’infrastruttura della rete elettrica è la spina dorsale della transizione energetica, cruciale nel fornire accesso ad abbondanti volumi di elettricità a basso costo marginale per le industrie e i cittadini europei. Nel lungo termine, ai primi 64 GigaWatt di capacità aggiuntiva da installare sulla rete di trasmissione elettrica transfrontaliera entro il 2030, le previsioni della Commissione europea indicano che sarà necessaria un’ulteriore capacità di 24 GW entro il 2040, “per tenere il passo con i rapidi cambiamenti nella domanda e nell’offerta di elettricità”.
La madre di tutti i problemi è che “i finanziamenti attualmente sono insufficienti”. Quei 584 miliardi complessivi di investimenti nelle infrastrutture elettriche vanno trovati “utilizzando i programmi finanziari esistenti”, come il Connecting Europe Facility (Cef) e il budget comunitario, ma anche “nuovi strumenti”, ha insistito la presidenza di turno belga dell’Ue. “Non necessariamente un nuovo fondo dedicato, ma un nuovo quadro dedicato alle reti elettriche” che preveda “meccanismi innovativi di finanziamento, strumenti di derisking e così via”.
L’altro nodo da sciogliere riguarda la messa a terra della rete: con Šefčovič i ministri hanno discusso dell’urgenza di “accelerare la velocità di concessione delle autorizzazioni e aumentare la portata e la velocità delle catene di approvvigionamento attraverso la standardizzazione” tra i Paesi dell’Ue. Il principio di fondo è che una politica allineata tra i 27 potrebbe accelerare i tempi della transizione “riducendo la complessità e l’eccessiva durata dei processi nazionali di concessione delle autorizzazioni”.
La Carta solare europea, un altro tassello verso un’Ue a zero emissioni
Complementare a questi ragionamenti, è arrivata ieri (15 aprile) la firma da parte della Commissione Europea, di 23 Paesi membri – tra cui l’Italia – e di rappresentanti dell’industria, della Carta solare europea, che definisce una serie di azioni volontarie da intraprendere per sostenere il settore fotovoltaico dell’Ue. “I firmatari della Carta si impegnano a sostenere la competitività dell’industria manifatturiera europea del fotovoltaico e a promuovere la creazione di un mercato per prodotti di alta qualità che soddisfino elevati criteri di sostenibilità e resilienza, nel pieno rispetto degli obiettivi climatici ed energetici dell’Ue”, si legge nel documento, che delinea “una serie di elementi che possono contribuire a questo scopo, tra cui la rapida attuazione delle disposizioni pertinenti della legge sull’industria a zero emissioni sull’uso di criteri non di prezzo nelle aste per le energie rinnovabili, negli appalti pubblici o in altri regimi di sostegno pertinenti”.
Attualmente la fonte di energia rinnovabile in più rapida crescita nell’Ue – in particolare il fotovoltaico – ha già permesso di risparmiare nel biennio 2022-23 “l’equivalente di 15 miliardi di metri cubi di importazioni di gas russo in totale, mitigando il rischio di interruzione delle forniture di gas all’Unione”. Ma lo spauracchio è quello di rimpiazzare la dipendenza dal Cremlino con una nuova dipendenza. Da Pechino, leader mondiale nella produzione di pannelli solari: ad oggi, solo il 3 per cento dei pannelli solari utilizzati oggi nell’Unione europea sono stati prodotti nei 27 Paesi membri. “Non possiamo competere completamente con la Cina, ma c’è l’intenzione di avere nuova capacità produttiva Ue”, ha ammesso oggi in conferenza stampa Van der Straeten .
Nell’Ue il settore offre già “circa 650 mila posti di lavoro, il 90 per cento dei quali nella fase di installazione, e si prevede che aumenterà fino a circa un milione entro il 2030”. Per raggiungere l’obiettivo di almeno il 42,5 per cento di energie rinnovabili entro il 2030 – con l’ambizione di arrivare al 45 per cento – “sarà necessario accelerare ulteriormente la diffusione delle energie rinnovabili, compresa l’energia solare”.