Bruxelles – L’Europa della salute e della sanità è in ritardo, e in questa Europa l’Italia è quella che fa più fatica. Pochi soldi, sempre meno competitività, e un’industria tutta ripensare. Le sfide sono comuni e i problemi di tutti, e occorre lavorare tutti insieme per quello che rischia di essere ‘la questione’ dell’avvenire prossimo. Criticità messe in risalto nel corso dell’evento ‘Sanità pubblica: l’autonomia differenziata delle Regioni nell’Unione della Salute’ organizzato da Withub.
L’Aula del Parlamento europeo ha approvato la proposta di riforma del settore farmaceutico, che fa discutere gli operatori. “La legislazione farmaceutica è stata sicuramente una giornata nera per i pazienti e per le imprese, perché la normativa così come votata dal Parlamento europeo penalizza l’innovazione”, critica Onofrio Mastandrea, vice presidente regionale e General Manager di Incyte Italia, preoccupato per un’Europa in affanno: “Oggi su dieci brevetti cinque sono statunitensi, tre arrivano dalla Cina e solo due sono europei“. Un dato che secondo Mastandrea mette in risalto l’inefficienza della risposta dell’Ue, visto che “l’esperienza del Covid ci ha insegnato molto bene quali sono le competenze e che la risposta deve essere data prioritariamente dai sistemi Paese”.
Il problema è che quando si parla di sistema Paese c’è un’Italia da ripensare. “In un Paese che non cresce, con 80-90 miliardi di euro di evasione fiscale all’anno, o si mettono in pratica politiche nuove o rimaniamo la Cenerentala d’Europa”, avverte Nino Cartabellotta, presidente di Fondazione Gimbe, che chiede alla politica di non toccare il sistema sanitario nazionale. “Nella sanità l’autonomia differenziata rischia di accrescere il divario tra regioni”, ed è per questo che “abbiamo chiesto di chiesto di eliminare la sanità dalla lista degli ambiti di maggiore autonomia [per le Regioni], perché altrimenti si darebbe il colpo di grazia a un sistema sanitario nazionale che è già in cattive acque”.
Lotta all’evasione per rilanciare la sanità pubblica di base sembra essere la ricetta giusta almeno per l’Italia. Così lascia intendere Stefano Collatina, presidente di Egualia. “Con il Covid abbiamo visto che non avevamo mascherine, no prodotti tecnologici”, sottolinea. In un Paese come quello italiano, con elevato livello di debito e poca ricerca, “se non sfruttiamo la concorrenza e la possibilità di usare i prodotti equivalenti buttiamo soldi”. Se il presidente di Egualia sposa la tesi Cartabellotta, si discosta dalla visione di Mastandrea. “Non è giusto dire che la normativa è la giornata nera per il paziente. La nuova normativa si focalizza più sul paziente che sull’industria, e i problemi dell’industria non si risolvono in questo modo”. Perché, spiega, serve un mercato che o non c’è o va rilanciato. Come Unione europea “dobbiamo difenderci dalla valanga di quattrini che Stati Uniti e Cina stanno immettendo nel settore, e difenderci dalla concorrenza” sempre più spietata.
Non solo. C’è un problema di autonomia. “Dal 2018 la carenza dei farmaci è aumentata”, denuncia Thomas Osborn, direttore area Salute di I-Com. C’è, per l’Unione europea, “l’esigenza di capire quali e quanti ingredienti medici soffrono di un tasso critico di importazione”. Allo stati attuale ci sono almeno 24 ingredienti, di cui 2 principi attivi, che hanno “più del 75 per cento di tasso di importazione”. Questo implica che “se qualcosa accade nei Paesi esportatori noi avremmo una situazione di grave difficoltà”. Questi dati sono “preoccupanti”, ammette, rilanciano la sperimentazione. “L’Europa ha comunque una struttura per rispondere, soprattutto in ricerca e sviluppo”. Un altro aspetto di una sanità su cui occorre lavorare di più.