Bruxelles – Quel “sistema Italia” su cui il governo di Giorgia Meloni sta insistendo per difendere gli interessi nazionali a Bruxelles inanella due sconfitte brucianti. Fallito l’ostruzionismo congiunto Roma-Budapest all’approvazione finale della direttiva sulle case green, l’Italia rimane da sola a opporsi alla revisione della direttiva europea sulle emissioni industriali. Che include nel campo di applicazione delle nuove norme anche gli allevamenti di bestiame su larga scale, compresi quelli di suini e di pollame.
Al semaforo verde finale acceso oggi (12 aprile) dal Consiglio dell’Ue nel formato Economia e Finanza, oltre al voto contrario del ministro Giancarlo Giorgetti, si sono astenute Bulgaria, Austria e Romania. “All’inizio le posizioni italiane sembrano isolate o fuori luogo, ma alla fine sono più realistiche di altri approcci”, ha commentato laconico il ministro dell’Economia a margine della riunione. Il nucleo centrale – e maggiormente divisivo – della revisione riguardava appunto l’ampliamento degli impianti coperti dalla direttiva, estesa per esempio ai grandi allevamenti di suini (superiori a 350 unità di bestiame), polli da carne (280 unità) e galline ovaiole (300 unità), mentre per le aziende che allevano sia suini sia pollame il limite sarà di 380 unità.
Rispetto alla proposta originaria della Commissione europea, l’Eurocamera aveva già comunque escluso dal testo uscito dai negoziati interistituzionali gli allevamenti di bovini, anche se l’esecutivo Ue potrà valutare entro la fine del 2026 se sia necessario affrontare ulteriormente le emissioni derivanti dall’allevamento di bovini, così come una clausola di reciprocità per garantire che i produttori extra-Ue rispettino requisiti simili a quelli previsti per i produttori europei. Escluse dal campo di applicazione anche le aziende agricole estensive e l’allevamento di animali per uso domestico.
Vanno ad aggiungersi agli oltre 50 mila impianti situati nei Paesi Ue già coperti dalla direttiva – e responsabili dell’emissione del 20 per cento di tutti gli inquinanti nell’aria e nell’acqua e del 40 per cento delle emissioni di gas a effetto serra nell’Ue – anche le attività estrattive e la produzione su larga scala di batterie. Previa revisione da parte della Commissione, il campo di applicazione potrebbe essere esteso anche ai minerali industriali.
Cosa prevede la direttiva sulle emissioni industriali
In sostanza, tutti gli impianti a cui viene applicata la direttiva dovranno comunicare e monitorare le loro prestazioni ambientali e adoperarsi per controllare le rispettive emissioni. Ai gestori industriali è concessa – da parte delle autorità nazionali – un’autorizzazione ad operare che definisce i valori limite di emissione per le sostanze inquinanti emesse da un impianto. Questi valori si basano sulle migliori tecniche disponibili, che vengono fissate dalla Commissione in coordinamento con esperti degli Stati membri, dell’industria e delle organizzazioni ambientaliste.
La direttiva prevede anche una progressiva digitalizzazione delle procedure e delle informazioni: renderà infatti il rilascio delle autorizzazioni più efficiente e meno oneroso, introducendo l’obbligo per gli Stati membri di istituire un sistema di autorizzazioni elettroniche entro il 2035, e istituirà un nuovo portale per informazioni più complete e integrate sulle emissioni industriali, in sostituzione dell’attuale Registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti.
Gli Stati membri dovranno stabilire sanzioni “efficaci, proporzionate e dissuasive” in caso di mancata conformità alla direttiva. Per le violazioni gravi, gli operatori rischiano sanzioni pari ad almeno il 3 per cento del loro fatturato annuale. La direttiva introduce anche il diritto per le persone che hanno subito danni alla salute di chiedere un risarcimento a coloro che violano la direttiva. Una volta pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Ue, la direttiva lascerà 22 mesi di tempo ai governi nazionali per adeguare la propria legislazione nazionale.