Bruxelles – L’affondo del Parlamento Europeo è tanto grave quanto profonda la spaccatura tra le tre maggiori forze politiche che sostengono l’esecutivo Ue guidato da Ursula von der Leyen. Il ‘Piepergate’, il caso politico scoppiato a seguito della nomina dell’eurodeputato Markus Pieper a inviato Ue per le piccole e medie imprese (Pmi), ora è portato a un nuovo livello con il voto a schiacciante maggioranza da parte degli eurodeputati in sessione plenaria per chiedere la revoca della nomina e un processo “realmente trasparente e aperto” per la selezione dell’inviato Ue per le Pmi.
La votazione contro la nomina di Pieper è arrivata oggi (11 aprile) attraverso un emendamento al discarico del bilancio della Commissione Europea del 2022 a prima firma Daniel Freund (Verdi/Ale), passato con 382 voti a favore, 144 contrari e 80 astenuti. In altre parole solo gli eurodeputati del Partito Popolare Europeo si sono opposti all’emendamento, schierandosi dalla parte della scelta di von der Leyen a favore del compagno di partito della Cdu (Unione Cristiano-Democratica di Germania). Popolari europei che difendono popolari europei. Il gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D) e quello liberale di Renew Europe invece si sono allineati in blocco contro la numero uno della Commissione, sostenuti da Verdi/Ale, La Sinistra e l’estrema destra di Identità e Democrazia (a cui appartiene la Lega). A parte poche eccezioni il gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (di cui fa parte Fratelli d’Italia) si è astenuto.
Il Parlamento Ue aveva già sollevato dubbi sulla scelta del cristiano-democratico Pieper con un’interrogazione scritta di 12 eurodeputati dei gruppi Verdi/Ale, S&D, Renew Europe e La Sinistra datata 29 febbraio. Alla Commissione era richiesto di rispondere sulle “qualifiche aggiuntive” che hanno permesso a Pieper di superare gli altri candidati nella procedura di selezione e sugli “interrogativi sulla trasparenza del processo e sull’influenza del presidente della Commissione“. Non è un caso se l’eurodeputata ceca Martina Dlabajová (Renew Europe), candidata alla carica, ha presentato ricorso alla direzione generale Risorse umane della Commissione. Il Parlamento Europeo “osserva con preoccupazione che il candidato prescelto è un deputato uscente del partito politico tedesco della presidente von der Leyen“, si legge nell’emendamento approvato oggi in sessione plenaria, che a questo punto “invita la Commissione a porre rimedio alla situazione revocando la nomina e avviando un processo realmente trasparente e aperto per la selezione dell’inviato dell’Ue per le Pmi”.
Secco il commento del portavoce-capo dell’esecutivo Ue, Eric Mamer, durante il punto quotidiano con la stampa: “Non reagiamo ai singoli emendamenti che sono stati votati” sul discarico di bilancio della Commissione. Senza risparmiare una frecciata agli eurodeputati sul fatto che “il Parlamento ha il diritto di voto, ma abbiamo la nostra autonomia istituzionale” e sgombrando il campo dai dubbi sul fatto che gli ultimi sviluppi politici possano aver avuto conseguenze sulla nomina di Pieper: “Sì e sì”, è stata la risposta a una domanda a proposito della convinzione del Berlaymont che l’eurodeputato della Cdu sia effettivamente il miglior candidato e se inizierà l’incarico – come previsto dal contratto siglato il 31 marzo – a partire da 16 aprile.
Il caso ‘Piepergate’ dentro la Commissione Ue
Tutto è iniziato lo scorso 31 gennaio, quando i servizi della Commissione Europea hanno reso nota la nomina di Pieper a inviato Ue per le Pmi – per tenere uno “stretto rapporto” con i rappresentanti imprenditoriali nazionali – entrando in carica “successivamente” e riferendo direttamente alla presidente von der Leyen e al commissario Breton. Secondo quanto riferito dal Berlaymont, Pieper vanterebbe “una vasta esperienza e competenza nelle politiche per le Pmi” in qualità di membro della commissione per l’Industria, la ricerca e l’energia (Itre) dell’Eurocamera in questa legislatura (è eurodeputato dal 2004) e avrebbe dimostrato “un’esperienza encomiabile” nelle relazioni strategiche “con una gamma diversificata di parti interessate, dimostrando forti capacità di leadership, di advocacy e di negoziazione”.
Dopo l’interrogazione parlamentare sul ‘Piepergate’ rimasta ignorata per un mese da parte della presidente von der Leyen, il 27 marzo quattro membri del Collegio – Thierry Breton (responsabile per il Mercato interno), Paolo Gentiloni (per l’Economia), Nicolas Schmit (per il Lavoro e i diritti sociali, nonché Spitzenkandidat del Partito Socialista Europeo) e Josep Borrell (vice presidente della Commissione e alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza) – hanno scritto una lettera alla presidente della Commissione per chiedere esplicitamente di discutere “alla prima occasione possibile” all’interno del Collegio su “queste accuse e il possibile impatto sulle prossime fasi del processo di assunzione” di Pieper. Oltre alle affiliazioni partitiche (Gentiloni, Schmit e Borrell sono socialdemocratici, Breton liberale), a determinare l’azione dei quattro commissari sarebbe stato il fatto che la stessa presidente von der Leyen avrebbe bypassato la raccomandazione a favore di Dlabajová da parte di Breton, responsabile per il giudizio sul candidato più idoneo.
Nel frattempo è montato anche il caso della nomina del capo di gabinetto, Björn Seibert, e del neo-direttore per la ‘Comunicazione e servizi politici’ presso la direzione generale della Comunicazione (Dg Comm), Alexander Winterstein, rispettivamente a responsabile della campagna elettorale e a responsabile comunicazione e relazione con i media per conto di von der Leyen come Spitzenkandidatin del Ppe. A rispondere alla lettera dei quattro commissari è stato il collega responsabile per il Bilancio, Johannes Hahn – anche lui della famiglia dei popolari europei come von der Leyen e Pieper – che su delega della presidente ha assicurato che “la decisione è del tutto in linea con le regole”. Tuttavia gli stessi quattro commissari hanno indirizzato una seconda lettera a von der Leyen, puntando il dito sul fatto che la nomina non avrebbe tenuto conto della regola della collegialità che prevede la partecipazione di tutti i commissari nel processo di selezione. Proprio per questo motivo mezzo Collegio sarebbe in rivolta contro la sua stessa presidente, con altri sette membri insoddisfatti: Margrethe Vestager (vicepresidente esecutiva e commissaria per la Concorrenza), Věra Jourová (vicepresidente per i Valori e la trasparenza), Didier Reynders (responsabile per la Giustizia), Elisa Ferreira (per la Coesione e le riforme), Kadri Simson (per l’Energia), Janez Lenarčič (per la Gestione delle crisi) e Helena Dalli (per l’Uguaglianza).