Bruxelles – La Slovacchia ha scelto, e ha scelto in un modo che non può che destare preoccupazioni a Bruxelles. Lo speaker del Parlamento nazionale e leader del partito di governo Hlas-Sd, Peter Pellegrini, si è imposto in rimonta sull’ex-ministro degli Esteri e candidato sostenuto dalle opposizioni di centro e liberali, Ivan Korčok, al ballottaggio di sabato (6 aprile) delle elezioni presidenziali e a partire dal prossimo 15 giugno sarà il nuovo capo dello Stato del Paese membro Ue. Con l’enorme soddisfazione (e sollievo) del primo ministro, Robert Fico, che può iniziare a contare i giorni prima di avere campo libero per spingere le politiche della maggioranza filo-russa composta da socialdemocratici ed estrema destra senza più ostacoli dalla presidenza della Repubblica.
Ribaltando l’esito del primo turno di voto del 23 marzo – in cui a sorpresa Korčok aveva superato Pellegrini di oltre cinque punti percentuali – il leader del partito che ha di fatto consegnato il potere alla coalizione rosso-nera dopo le elezioni legislative dell’autunno 2023 ha conquistato il 53,12 per cento dei voti al ballottaggio, in una tornata elettorale che ha fatto registrare uno dei risultati di affluenza più alti dalla nascita della Repubblica slovacca (61,14 per cento, contro il 51,9 del primo turno). “Il governo non deve temere che il palazzo presidenziale diventi un centro opportunistico per l’opposizione come è stato negli ultimi 10 anni“, ha subito attaccato Pellegrini, ribandendo lo schieramento contro l’attuale presidente, Zuzana Čaputová, e fornendo già un’anteprima sulla posizione che assumerà da capo dello Stato nei confronti dell’esecutivo guidato dall’alleato e leader della socialdemocrazia Smer-Ssd Fico.
Perché, nonostante la carica presidenziale in Slovacchia sia prevalentemente cerimoniale, il capo dello Stato può ricorrere alle revisioni della Corte Costituzionale nel caso di leggi controverse: è proprio a questo potere che bisogna guardare per capire in quale direzione potrebbe presto incamminarsi la Slovacchia, molto simile a quella in atto da oltre un decennio nell’Ungheria di Viktor Orbán. Con Pellegrini al palazzo presidenziale il premier Fico avrà carta bianca per portare avanti il processo legislativo su qualsiasi politica controversa, a differenza di quanto accaduto in questi mesi con la presidente in carica Čaputová. Dopo l’approvazione della criticatissima riforma del Codice Penale da parte del Parlamento, la presidente ha sì firmato la legislazione, ma presentando un ricorso alla Corte Costituzionale, che ha sospeso parte della legge fino a quando i giudici non avranno emesso la sentenza. Ora a Bruxelles si teme che la coalizione rosso-nera non solo spingerà con più decisione su altre leggi più restrittive sulla libertà dei media e della società civile, ma anche su un posizionamento ancora più ammiccante nei confronti del Cremlino, in un momento chiave per l’unità dei Ventisette nel supporto finanziario e armato alla resistenza dell’Ucraina contro l’invasione russa.
La Slovacchia rosso-nera
A due mesi dall’inizio del mandato presidenziale per Pellegrini, la svolta nazionalista per la Slovacchia è ora completata. Dopo le elezioni legislative del 30 settembre 2023 la socialdemocrazia filo-russa di Smer-Ssd è emersa come prima forza in Parlamento, seguita dal Partito Progressista dell’ex-vicepresidente del Parlamento Ue, Michal Šimečka, e dai socialdemocratici di Hlas-Sd. I 27 deputati di Pellegrini sono stati determinanti per la formazione della maggioranza con le due forze filo-russe – i socialdemocratici di Smer e la destra estrema del Partito Nazionale Slovacco – anche se lo stesso leader del partito ha assicurato che “con la nostra presenza garantiremo che l’appartenenza della Slovacchia all’Ue e alla Nato non sia messa a repentaglio“. Rivendicazione che però si scontra con le recenti accuse di Pellegrini durante la campagna elettorale per le presidenziali all’indirizzo dello sfidante Korčok di voler “portare il Paese in guerra”, a causa delle promesse di maggiore allineamento di Bratislava a Bruxelles sul sostegno armato all’Ucraina.
La decisione di dare vita a un governo filo-Mosca ha avuto anche conseguenze a livello europeo. Il 12 ottobre la presidenza del Partito del Socialismo Europeo (Pse) ha deciso di sospendere l’adesione dei partiti slovacchi Smer-Ssd e Hlas-Sd e il Gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici al Parlamento Europeo ha optato per sospendere l’adesione dei tre eurodeputati slovacchi per preoccupazioni sulle politiche nel merito della guerra russa contro l’Ucraina, della migrazione, dello Stato di diritto e dei diritti della comunità Lgbtq+. A tutto ciò si è aggiunta negli ultimi mesi un’ondata di proteste per il via libera alla riforma del Codice Penale, che prevede l’abbreviazione dei termini di prescrizione per i reati più gravi – da 20 a 5 anni – e l’abolizione dell’ufficio del procuratore speciale che si occupa di reati come quelli relativi alla criminalità organizzata e alla corruzione di alto livello. La denuncia delle opposizioni è di un tentativo di indebolimento del sistema giudiziario – a favore dei membri del partito di Fico e sostenitori del governo di alto livello – in un Paese in cui lo stesso attuale primo ministro si era dovuto dimettere nel 2018 a seguito dell’omicidio del giornalista Ján Kuciak e della fidanzata Martina Kušnírová, che avevano denunciato legami tra la ‘ndrangheta e l’élite slovacca (tra cui esponenti del suo partito Smer).
Con questa riforma del Codice Penale potrebbe aprirsi a Bruxelles uno scontro simile a quello che in Ungheria ha portato all’attivazione del meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto. Al momento della presentazione della bozza la Commissione Ue, la Procura europea (Eppo) e il Parlamento Ue avevano messo in guardia Bratislava sul fatto che le modifiche al Codice Penale potrebbero compromettere “seriamente” il livello di protezione degli interessi finanziari dell’Ue in Slovacchia, nello specifico sul piano della corruzione, delle frodi e della cattiva gestione dei fondi comunitari. E in questo scenario sarebbero inevitabili contromisure a Bruxelles. Con l’entrata in vigore il 15 marzo – con alcune leggere modifiche per rispondere alle obiezioni delle tre istituzioni Ue – la Commissione è chiamata a valutare la riforma nel suo complesso e decidere se esistono ancora preoccupazioni che giustifichino azioni che vanno dalla procedura di infrazione all’attivazione del meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto.