Bruxelles – Nemmeno il tempo di festeggiare per il via libera del Consiglio Europeo all’avvio dei negoziati di adesione Ue, e la Bosnia ed Erzegovina si trova di nuovo nel pieno della tempesta politica. “L’alto rappresentante ha riconosciuto la necessità di intervenire, tenendo conto della mancanza di capacità o volontà delle autorità nazionali di porre rimedio alle gravi carenze del processo elettorale“, ha presentato così la decisione di emendare la legge elettorale l’alto rappresentante per la Bosnia ed Erzegovina, Christian Schmidt. Un atto accolto con freddezza a Bruxelles – per la preferenza verso un processo più istituzionale – e che nella regione sta già rischiando di creare nuove tensioni.
“Ci stiamo avvicinando a un’altra elezione [le amministrative del 6 ottobre, ndr], ma le autorità della Bosnia ed Erzegovina non hanno affrontato i numerosi problemi, le preoccupazioni e le domande emerse nei precedenti cicli elettorali”, è l’attacco frontale arrivato nel pomeriggio di ieri (26 marzo) dall’autorità istituita per la supervisione dell’implementazione degli Accordi di Dayton del 1995 (che misero fine alla guerra in Bosnia iniziata tre anni prima). Con l’obiettivo di garantire agli elettori bosniaci “pari opportunità di partecipare alle elezioni” e di garantire trasparenza in tutto il processo elettorale – uno dei più complicati al mondo – l’alto rappresentante Schmidt ha presentato un pacchetto di misure per emendare la legge elettorale. Questa possibilità deriva dai cosiddetti ‘poteri di Bonn’ – previsti proprio dagli Accordi di Dayton – che consentono all’alto rappresentante di imporre misure legislative o licenziare funzionari che si oppongono all’attuazione degli stessi accordi di pace.
Secondo quanto previsto dal pacchetto di riforme composto di 114 articoli – che dovrebbe essere introdotto “gradualmente” già alle amministrative di quest’anno in aree-pilota selezionate e poi attuato alle elezioni legislative del 2026 – viene stabilita maggiore supervisione sul voto e sul conteggio, più trasparenza nella registrazione degli elettori (in particolare assenti, rifugiati e verifica dei dati) e sicurezza “dall’inizio alla fine” del processo di voto: questo anche attraverso l’identificazione elettronica degli elettori, la videosorveglianza e il conteggio elettronico delle schede. Spicca in particolare l’articolo 5: “Nessuna persona che sia stata condannata da un tribunale internazionale o nazionale per crimini di genocidio, crimini contro l’umanità o crimini di guerra può candidarsi alle elezioni o ricoprire cariche elettive, di nomina o di altro tipo”. Definita anche una “più chiara” protezione dei diritti umani e civili e misure per la prevenzione della manipolazione degli elettori, comprese quelle contro le fake news.
Schmidt ha presentato il pacchetto di “integrità elettorale”, definendolo il suo “contributo” al percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea. Tuttavia da Bruxelles la risposta non è stata particolarmente calda: “L’Ue ricorda che i suoi poteri esecutivi dovrebbero essere utilizzati solo come misura di ultima istanza contro atti illegali irreparabili”, è il commento del portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano. La maggiore perplessità riguarda il fatto che è già stata espressa “una forte preferenza affinché il Parlamento della Bosnia ed Erzegovina si assuma le proprie responsabilità e adotti queste riforme“, ma anche che “un’ampia supervisione internazionale è incompatibile con il futuro europeo” del Paese balcanico, ha avvertito Stano. Ciò che però davvero preoccupa è la reazione dell’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina, la Republika Srpska, e quella del più stretto alleato nella regione, la Serbia. “Schmidt non ha nulla a che fare con il processo elettorale, abbiamo già detto quali misure prenderemo”, ha minacciato il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, a cui ha fatto eco il presidente serbo, Aleksandar Vučić: “Queste notizie minacciano direttamente i nostri interessi nazionali vitali, sia della Serbia sia della Republika Srpska”.
La ‘grana’ Republika Srpska
È proprio Dodik uno degli ostacoli maggiori per il percorso di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea, da quando si è fatto promotore di un progetto secessionista dall’ottobre del 2021. L’obiettivo è quello di sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il Parlamento Europeo ha evocato sanzioni economiche e, dopo la dura condanna dei tentativi secessionisti dell’entità a maggioranza serba in Bosnia (con un progetto di legge per l’istituzione di un Consiglio superiore della magistratura autonomo), a metà giugno del 2022 i leader bosniaci si sono radunati a Bruxelles per siglare una carta per la stabilità e la pace, incentrata soprattutto sulle riforme elettorali e costituzionali nel Paese balcanico.
Ma le preoccupazioni si sono fatte sempre più concrete da fine marzo 2023, quando il governo dell’entità serbo-bosniaca ha presentato un progetto di legge per istituire un registro di associazioni e fondazioni finanziate dall’estero. La cosiddetta legge sugli ‘agenti stranieri’ è simile a quella adottata da Mosca nel dicembre 2022 ed è stata approvata a fine settembre dall’Assemblea nazionale di Banja Luka, tra le apre critiche di Bruxelles. Parallelamente è avanzato anche l’iter per l’adozione degli emendamenti al Codice Penale che reintroducono sanzioni penali per diffamazione. Dopo la proposta – anch’essa a fine marzo – l’entrata in vigore è datata 18 agosto e ora sono previste multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”. Il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae) e la delegazione Ue a Sarajevo hanno attaccato Banja Luka, mettendo in luce che le due leggi “hanno avuto un effetto spaventoso sulla libertà di parola nella Republika Srpska“.
Alle provocazioni secessioniste si è affiancata la questione del rapporto con la Russia post-invasione ucraina. Già il 20 settembre 2022 Dodik aveva viaggiato a Mosca per un incontro bilaterale con Putin, dopo le provocazioni ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia. Provocazioni che sono continuate a inizio gennaio 2023 con il conferimento all’autocrate russo dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) – come riconoscimento della “preoccupazione patriottica e l’amore” nei confronti delle istanze di Banja Luka – in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento bosniaco. Come se bastasse, Dodik ha compiuto un secondo viaggio a Mosca il successivo 23 maggio, mentre a Bruxelles sono emerse perplessità sulla mancata reazione da parte dell’Unione con sanzioni. Fonti Ue hanno rivelato a Eunews che esiste già da tempo un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato, ma l’Ungheria di Viktor Orbán non permette il via libera. Per qualsiasi azione del genere di politica estera serve l’unanimità in seno al Consiglio.
Il percorso di adesione Ue della Bosnia ed Erzegovina
Il cammino di avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina all’Unione Europea è iniziato il 15 febbraio 2016, con la presentazione ufficiale della domanda di adesione. Per più di sei anni non è arrivata nessuna risposta positiva da parte delle istituzioni Ue a causa della difficoltà a mettere a terra le 14 condizioni-base (i criteri di Copenaghen) per essere considerato un candidato formale. Dallo scoppio della guerra in Ucraina – considerati i rischi di destabilizzazione russa nel Paese e nella regione – si è intensificato il lavoro a Bruxelles e Sarajevo per l’avvicinamento. Con il Pacchetto Allargamento 2022 è arrivata la raccomandazione di concedere alla Bosnia ed Erzegovina lo status di candidato all’adesione Ue: a stretto giro al Consiglio Europeo del 15 dicembre 2022 è arrivato il via libera dei 27 capi di Stato e di governo.
Dopo essere diventata l’ottavo Paese candidato all’adesione nel processo di allargamento Ue, la Bosnia ed Erzegovina ha continuato a spingere sul percorso di avvicinamento all’Unione. Grazie ai progressi (seppur limitati) registrati da Bruxelles, nel Pacchetto Allargamento 2023 la Commissione Ue ha deciso di includere la raccomandazione di avviare i negoziati di adesione per Sarajevo “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. Anche questa raccomandazione è stata raccolta dal Consiglio Europeo del 14 dicembre 2023, fino al giorno storico per il Paese della scorsa settimana. Dopo aver ricevuto dal gabinetto von der Leyen l’indicazione che Sarajevo è finalmente pronta – e sotto la spinta di sette Paesi membri particolarmente aperturisti, tra cui l’Italia – giovedì scorso (21 marzo) il Consiglio Europeo ha deciso di avviare i negoziati di adesione all’Ue con la Bosnia ed Erzegovina. La Commissione Ue preparerà il quadro negoziale “nel momento in cui saranno prese tutte le misure pertinenti” dal Paese partner, dopodiché dovrà essere adottato all’unanimità in Consiglio Affari Generali (che riunisce i 27 ministri degli Affari Europei). Solo allora saranno davvero avviati a livello formale i negoziati di adesione Ue per la Bosnia ed Erzegovina.
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