Bruxelles – Era un testa a testa quasi scontato, ma l’esito del primo turno delle elezioni presidenziali in Slovacchia ha reso la corsa tra i due candidati favoriti ancora più intrigante. Le urne aperte sabato (23 marzo) nel Paese membro Ue hanno premiato l’ex-ministro degli Esteri e candidato sostenuto dalle opposizioni di centro e liberali, Ivan Korčok, arrivato al primo posto davanti al più quotato speaker del Parlamento nazionale e leader del partito di governo Hlas-Sd, Peter Pellegrini. Ora si guarda già al ballottaggio del 6 aprile, in cui sarà decisivo non solo l’orientamento degli elettori dei 7 candidati sconfitti al primo turno, ma anche l’affluenza alle urne di chi ha deciso di non votare sabato.
Quando è stato ultimato il conteggio dei voti, Korčok ha conquistato il 42,51 per cento dei voti, oltre cinque punti percentuali in più rispetto a quelli di Pellegrini (37,02 in linea con i sondaggi della vigilia). L’exploit elettorale è stato tutto dell’ex-ministro degli Esteri tra il 2020 e il 2022 – dato poco sotto allo sfidante socialdemocratico prima dell’apertura delle urne – ma ora non sarà facile andare a setacciare quei 7,5 punti percentuali che lo separano dalla carica di successore dell’europeista Zuzana Čaputová come presidente della Repubblica. “Sicuramente devo parlare con gli elettori della coalizione di governo contrari alla direzione che il Paese sta prendendo soprattutto in politica estera”, ha immediatamente attaccato il candidato delle opposizioni centriste unite, facendo riferimento sia alle tendenze filo-russe dell’esecutivo rosso-nero guidato dal socialdemocratico Robert Fico (a cui partecipano sia il partito di Pellegrini sia l’estrema destra del Partito Nazionale Slovacco) sia al crescente isolazionismo dai tradizionali alleati di Polonia e Repubblica Ceca all’interno del gruppo di Visegrád.
La vera chiave di volta per Korčok sarà la mobilitazione di chi sabato non si è recato alle urne, quasi la metà degli aventi diritto al voto: solo il 51,9 per cento degli elettori ha partecipato al primo turno, un dato comunque in linea con gli ultimi 20 anni di elezioni in Slovacchia. Un altro grosso fattore sarà l’orientamento di quell’elettore ogni cinque che non ha espresso la preferenza né per Korčok né per Pellegrini, che potrebbe però indirizzarsi più a favore di quest’ultimo. In particolare l’ex-premier tra il 2018 e il 2020 e leader del partito fondato nel 2020 dopo la scissione da Smer potrebbe incassare l’endorsement non solo degli alleati di governo socialdemocratici e di estrema destra, ma anche del terzo classificato di orientamento filo-russo, l’ex-ministro della Giustizia tra il 2006 e il 2009 (nel governo Fico) ed ex-presidente della Corte Suprema tra il 2009 e il 2014, Štefan Harabin, che sabato ha conquistato l’11,74 per cento delle preferenze.
La Slovacchia rosso-nera
Dopo le elezioni del 30 settembre 2023 in Slovacchia, la socialdemocrazia filo-russa di Smer-Ssd è emersa come prima forza in Parlamento, seguita dal Partito Progressista dell’ex-vicepresidente del Parlamento Ue, Michal Šimečka, e dai socialdemocratici di Hlas-Sd. I 27 deputati di Pellegrini sono stati determinanti per la formazione della maggioranza con le due forze filo-russe – i socialdemocratici di Smer e la destra estrema del Partito Nazionale Slovacco – anche se lo stesso leader del partito ha assicurato che “con la nostra presenza garantiremo che l’appartenenza della Slovacchia all’Ue e alla Nato non sia messa a repentaglio”.
Ma la decisione di dare vita a un governo filo-Mosca ha avuto anche conseguenze a livello europeo. Il 12 ottobre la presidenza del Partito del Socialismo Europeo (Pse) ha deciso di sospendere l’adesione dei partiti slovacchi Smer-Ssd e Hlas-Sd e il Gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici al Parlamento Europeo ha optato per sospendere l’adesione dei tre eurodeputati slovacchi per preoccupazioni sulle politiche nel merito della guerra russa contro l’Ucraina, della migrazione, dello Stato di diritto e dei diritti della comunità Lgbtq+. A tutto ciò si è aggiunta negli ultimi tre mesi un’ondata di proteste per il via libera alla riforma del Codice Penale, che prevede l’abbreviazione dei termini di prescrizione per i reati più gravi – da 20 a 5 anni – e l’abolizione dell’ufficio del procuratore speciale che si occupa di reati come quelli relativi alla criminalità organizzata e alla corruzione di alto livello. La denuncia delle opposizioni è di un tentativo di indebolimento del sistema giudiziario – a favore dei membri del partito di Fico e sostenitori del governo di alto livello – in un Paese in cui lo stesso attuale primo ministro si era dovuto dimettere nel 2018 a seguito dell’omicidio del giornalista Ján Kuciak e della fidanzata Martina Kušnírová, che avevano denunciato legami tra la ‘ndrangheta e l’élite slovacca (tra cui esponenti del suo partito Smer).
Con questa riforma del Codice Penale potrebbe aprirsi a Bruxelles uno scontro simile a quello che in Ungheria ha portato all’attivazione del meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto. Al momento della presentazione della bozza la Commissione Ue, la Procura europea (Eppo) e il Parlamento Ue avevano messo in guardia Bratislava sul fatto che le modifiche al Codice Penale potrebbero compromettere “seriamente” il livello di protezione degli interessi finanziari dell’Ue in Slovacchia, nello specifico sul piano della corruzione, delle frodi e della cattiva gestione dei fondi comunitari. E in questo scenario sarebbero inevitabili contromisure a Bruxelles. Dopo l’entrata in vigore il 15 marzo – con alcune leggere modifiche per rispondere alle obiezioni delle tre istituzioni Ue – la Commissione è chiamata a valutare la riforma nel suo complesso e decidere se esistono ancora preoccupazioni che giustifichino azioni che vanno dalla procedura di infrazione all’attivazione del meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto.