Gli “Stati Generali dell’Italia a Bruxelles”, che si sono svolti questo venerdì nella capitale dell’Unione europea, sono l’ennesimo tentativo di dare una sostanziale organizzazione alla presenza italiana nell’Ue, non solo a livello di governo, ma a livello di coordinamento e collaborazione tra tutte le presenze italiane nelle varie istituzioni e aziende.
Il momento non può non far venire in mente anche lo “spottone pre elettoral”e per il Governo Meloni, che nell’Unione qualcosa ottiene, qualcosa cede, ma soprattutto ha radicalmente cambiato l’approccio nell’insieme delle sue diverse componenti, segnatamente due, Lega e Fratelli d’Italia verso l’Unione. La somma delle tre forze che formano il governo è diversa dalle posizioni dei singoli, ed il risultato è di un governo che, in particolare per le materie di politica estera, economiche e di politiche migratorie, sta dentro l’Unione, non minaccia abbandoni della moneta unica o di altre politiche, ed anzi è diventato uno dei governi grandi elettori di Ursula von der Leyen (che, all’uopo, ha cambiato notevolmente alcune sue posizioni) per un secondo mandato.
In cambio di questo cambiamento, che potrebbe aver sorpreso gli elettori di queste forze politiche (non di Forza Italia, che verso l’Ue ha sempre avuto un diverso atteggiamento) il governo riequilibra la situazione rendendo chiaro ai cittadini che non solo i ministri vengono a battersi, ma che lavora a costruire una rete tra tutti gli italiani presenti a Bruxelles, istituzioni, politici, imprese (chissà perché non vengono mai presi in considerazioni gli italiani che lavorano nei Think tank presenti a Bruxelles e che spesso esercitano ruoli di rilevante influenza nei confronti delle istituzioni europee e le rappresentanze di altri Paesi). Una rete che deve rafforzare strutturalmente la presenza italiana, garantendo anche la tutela delle carriere dei funzionari italiani, perché sempre di più un’ottica anche nazionale possa essere messa sul tavolo delle discussioni. I funzionari europei, lo ha ricordato con onestà il vice premier Antonio Tajani, non rappresentano i loro Paesi nel seno delle istituzioni, ma è vero che tutti i loro colleghi di altri Paesi nell’attività regolatoria mettono in rilievo le necessità dei loro Paesi, diciamola così.
Questo lavoro l’Italia non lo ha praticamente mai fatto. Lo scrivo perché ho visto di persona l’assalto al fortino dei gabinetti e dei vari posti discrezionali che si assegnano ad ogni cambio di legislatura. La lotta è tradizionalmente tra potenti italiani, ognuno dei quali lavora per suo conto a piazzare il suo uomo dove pensa che sia più utile, con il risultato di avere spesso più candidati italiani alla stessa posizione, che poi si bruciano a vicenda. Lo abbiamo visto nell’abbandono al quale sono lasciati i numerosi e valenti funzionari italiani che, come ha riconosciuto lo stesso Tajani, quasi sempre quando fanno carriera lo fanno da soli, senza alcun supporto dal loro Paese. Un sistema che ha indebolito la presenza italiana nella burocrazia di Bruxelles, riducendone i numeri, e che spesso ha mancato nel piazzare la persona giusta nel posto necessario.
Sette anni fa ci furono i primi Stati Generali, promossi al tempo dall’allora presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Fu il primo tentativo organico di una lavoro di coordinamento della presenza italiana a Bruxelles e qualche risultato aveva cominciato a vedersi. Poco dopo il governo cadde, i successivi non ci riprovarono, la cosa si arrestò e gli italiani nell’Ue ricominciarono a sentirsi, come racconta qualcuno, “un po’ soli”.
Ora ci si riprova. L’intenzione è decisamente buona, l’obiettivo è condivisibile, a condizione, come sempre, di puntare sulle persone giuste per le funzioni e non di favorire amici o restituire favori.