Bruxelles – Come trattare la questione del Medio Oriente, delicata sotto tanti aspetti, umano, umanitario e politico. Linguaggio di condanna nei confronti del governo di Benjamin Netanyahu per quanto avviene a Gaza o no? Richiesta di cessate il fuoco? Nodi che i capi di Stato e di governo dovranno sciogliere nel corso di un vertice del Consiglio europeo che si annuncia complicato, e non solo su questo tema, uno dei vari all’ordine del giorno. Anche su come sostenere l’industria della difesa attorno al tavolo ci sono idee diverse: chi vorrebbe strumenti di debito comune e chi preferirebbe altre opzioni. Ancora, cosa fare degli extra-profitti generati dai beni russi congelati nell’Ue per l’effetto delle sanzioni? L’idea di usarli per fini militari agita e divide i Ventisette.
Non si annuncia un appuntamento semplice quello in programma domani e dopodomani (21 e 22 marzo) a Bruxelles. Gli argomenti in agenda non sono pochi: Ucraina, Medio Oriente, allargamento, relazioni esterne, immigrazione. Sulla dichiarazione finale, chi ha modo di seguire più da vicino i lavori, l’obiettivo principale è evitare la brutta figura politica. A quanto si apprende si litiga sui testi di conclusione, dove i nodi politici sono pochi ma di non poca entità, e i lavori del vertice potrebbero risentirne. A partire dalla questione mediorientale.
Qui si snodano due diverse visioni della questione, una pratica e l’altra politica. La priorità pragmatica è far arrivare gli aiuti umanitari. Tutti i 27 vorrebbero farli entrare a Gaza, ma questo implica una cessazione delle armi, che passa per liberazione di ostaggi. Le posizioni di Israele però non si conciliano con gli auspici europei. “Dobbiamo essere realisti: il governo israeliano non sta ascoltando gli europei e neppure gli americani“, ammette un alto funzionario europeo. Di fronte a questo contesto, “il dibattito non è tanto sul cessate il fuoco è più sul tono del testo, su chi è responsabile per cosa“, precisa lo stesso funzionario. Il nodo politico è dunque se attaccare direttamente o meno lo Stato ebraico per il rischio carestia e una risposta agli attacchi di Hamas del 7 ottobre scorso considerata come oltre il limite del consentito.
Nessuno si sbilancia sull’esito, ma a Bruxelles si ricorda che esiste anche la possibilità di conclusioni di fine seduta del presidente del Consiglio europeo, diverse da quelle dei 27 capi di Stato e di governo. Un pro-memoria che fa capire come ci si prepari anche a questa eventualità.
Non sarà un confronto semplice neppure per quello che riguarda la difesa. Il presidente del Consiglio, Charles Michel, nella sua tradizionale lettera di invito, lo presenta come in consiglio di guerra. “Ora che ci troviamo di fronte alla più grande minaccia alla sicurezza dalla Seconda Guerra Mondiale – scrive Michel – è giunto il momento di adottare misure radicali e concrete per essere pronti a difenderci e mettere l’economia dell’UE sul ‘piede di guerra'”. Il clima non è dei migliori, e le premesse non molto diverse.
Michel propone di sostenere l’industria della difesa con strumento di debito comune, ma qui il fronte degli Stati si sfalda. Il presidente del Consiglio europeo parla di “acquistare di più insieme”, che alcuni Stati traducono come consorzio tra alcuni Paesi più che con eurobond. I cosidetti ‘frugali’ (Germania, Paesi Bassi, Danimarca e Svezia) frenano e vogliono ragionarci su, e invece di ricorrere a “soluzioni innovative” come richiesto da Michel e che apriva la strada a debito comune, si preferisce la via delle “opzioni”, concetto vago e più limitata nella sua portata. C’è la consapevolezza che 1,5 miliardi di euro da bilancio per rilanciare la produzione industriale della difesa, come proposto dalla Commissione, non è sufficiente ma viene considerata la base di partenza per un negoziato tutto da fare e che con ogni probabilità non si chiuderà con questo vertice.
C’è poi la questione dell’allargamento. I leader sono chiamati a esprimersi sul parere positivo della Commissione europea per l’avvio dei negoziati con il governo di Sarajevo, e ci sono già sette Paesi (Italia, Austria, Croazia, Grecia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Slovenia) pronti a dare il benestare. I baltici (Estonia, Lettonia, Lituania) vorrebbero invece che l’adesione della Bosnia-Erzegovina procedesse insieme a Ucraina e Moldova, che si trovano invece in una fase più avanzata del processo.
Tutto da decidere, ancora, anche sull’Ucraina. I membri neutrali dell’Ue (Austra, Malta, Irlanda) non condividono la proposta di destinare i ricavi da extra-profitti dei bene russi congelati per la spesa militare e il sostegno militare di cui Kiev ha bisogno. A loro si aggiunge l’Ungheria, che contesta come si fosse parlato di utilizzarli ai fini della ricostruzione del Paese. Quel che è certo è che a Volodymir Zelensky, presidente ucraino collegato in video, si sventolerà l’accordo sui cinque miliardi di euro di aiuti, l’intenzione di procedere a lavorare al 14esimo pacchetto di sanzioni contro la Russia ed eliminare le elusioni ai 13 pacchetti precedenti che fruttano qualcosa come 10 miliardi di euro alle casse del Cremlino. Quest’ultimo elemento, un altro biglietto da vista non proprio encomiabile per un’Ue alle prese con un vertice che parte in salita.