Bruxelles – L’Unione europea è in affanno. Ha bisogno di soldi per tradurre in pratica una doppia transizione su cui il resto del mondo sembra correre più dell’Ue che questo cambiamento l’ha fortemente voluto. Cina, Stati Uniti, ma pure Brasile e India. Nella partita alla green economy e allo sviluppo dell’industria del clean-tech la concorrenza aumenta, e l’idea che si fa largo è quella di un nuovo programma di debito comune per rispondere a chi può spendere più e meglio del blocco dei Ventisette. Il commissario per l’Economia, Paolo Gentiloni, velatamente, invita gli Stati a considerare una fase nuova per l’agenda sostenibile e digitale.
Interviene alla conferenza annuale di Euronext, ed è qui che richiama dapprima l’attenzione sulla necessità di investimenti privati, da intercettare attraverso il completamento dell’unione dei mercati dei capitali, e poi sulla necessità di investire in modo diretto. Il debito, dice sfidando i falchi del rigore, non può diventare motivo per mollare la presa sulla spesa che serve per poter essere innovativi e competitivi.
“Se guardiamo i nostri concorrenti nel mondo, vediamo che non sono meno indebitati degli europei e che il loro sostegno alla loro industria è più alto del nostro”, riconosce Gentiloni. Con questo, precisa, “non sto dicendo che dovremmo adottare il modello americano o cinese, ma non possiamo nemmeno sederci con le mani in mano”. Se non si può o non si vuole intervenire con incentivi o sussidi pubblici massicci come fanno Washington e Pechino, “gli europei dovrebbero reagire, per quanto possibile, insieme”. Vuol dire nuovi eurobond, titoli di debito comune, programmi analoghi a quello per la ripresa post-pandemica, NextGenerationEU, che “sta fornendo la potenza di fuoco che consentirà di colmare il nostro gap di investimenti, almeno fino al 2026, quando il programma scadrà”.
C’è sempre più la sensazione che in Europa si abbia avuto una buona idea, e adesso questa idea si vede rubata da chi ha già dei vantaggi. La Cina ha le materie prima che servono per gli obiettivi del Green Deal europeo, gli Stati Uniti hanno soldi e la possibilità di intervenire, come fatto, con interventi quali l‘Inflation reduction act (Ira), che permette sgravi e incentivi fiscali tali da attrarre industrie, investimenti, manodopera. Peccato che il numero dei concorrenti stia aumentando.
“Nuovi centri fintech competitivi ed ecosistemi innovativi del mercato dei capitali stanno emergendo molto rapidamente in luoghi come l’India e il Brasile“, avverte ancora il commissario per l’Economia. Questa evoluzione rischia di vedere l’Ue schiacciata dalla concorrenza mondiale, soprattutto per quanto riguarda la partita della green-economy. “Mobilitare gli investimenti privati nella duplice transizione sarà fondamentale per rilanciare la nostra competitività e colmare il divario di investimenti”.
Per questo occorre completare il mercato dei capitali. “Sebbene stiano diventando più grandi, i mercati dei capitali dell’Ue rimangono relativamente piccoli e frammentati lungo i confini nazionali”. Guardando a realtà diverse, Gentiloni non può fare a meno di ricordare come in termini di percentuale del Prodotto interno lordo (Pil), “la loro dimensione è inferiore a quella degli Stati Uniti o del Regno Unito“. E non di poco. “La capitalizzazione del mercato azionario è circa il 55 per cento del Pil per l’Ue, mentre negli Stati Uniti è al 158 per cento del Pil e nel Regno Unito del 71 per cento”.
L’Ue ha bisogno di qualcosa come 650 miliardi di euro in investimenti annuali aggiuntivi necessari fino al 2030 per la transizione verde e digitale, “e nessuna delle due ovviamente sarà terminata entro quella data”, precisa, non per niente, Gentiloni. Occorrerà investire ancora, e allora un nuovo NextGenerationEu potrebbe dover essere realizzato per il post-2030 al più tardi. Senza rinunciare alle riforme. “I mercati dei capitali sono fondamentali per mobilitare i massicci investimenti privati necessari per realizzare le transizioni verde e digitale”.