Bruxelles – Non era solo l’Ungheria, non erano solo i fondi della politica di Coesione. Spesso lasciati nelle note e piè di pagina e tra le questioni meno sotto i riflettori dell’opinione pubblica, l’erogazione dei fondi Ue relativi ai programmi degli Affari interni coinvolge strettamente il rispetto di alcuni dei principi fondanti dell’Unione Europea. Non è un caso se una delle condizioni abilitanti orizzontali che permettono il rimborso dei soldi già spesi è quella relativa al rispetto della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. Cipro, Polonia e Ungheria hanno mostrato negli ultimi anni problemi nell’implementare meccanismi di monitoraggio contro possibili violazioni dei diritti umani, ma anche altri Stati membri potrebbero finire sotto sorveglianza per le modalità di spesa dei fondi Ue nell’ambito della migrazione e dell’asilo.
“La Commissione Europea si rende conto del suo ruolo nella protezione del bilancio dell’Unione in generale, e per quanto riguarda gli Affari interni in particolare, i Paesi membri hanno l’obbligo di verificare il rispetto delle condizioni prima di poter ottenere il rimborso delle spese“, ha spiegato la direttrice per i Fondi Affari Interni della Commissione Europea, Silvia Michelini, intervenendo in audizione alla commissione per le Libertà civili, la giustizia e gli affari interni (Libe) del Parlamento Europeo questa mattina (19 marzo). Ricordando che “i nostri fondi Ue e programmi sono soggetti a tre condizioni abilitanti orizzontali” – il rispetto delle regole per gli appalti pubblici, il rispetto della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue e il rispetto della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità – Michelini ha precisato che “per gli Affari Interni ci interessa in particolare la seconda”, quella sul rispetto dei diritti fondamentali.
Secondo le regole del Quadro pluriennale 2021-2017, per essere ammissibili a ricevere i fondi Ue degli Affari Interni – Fondo Asilo, migrazione e integrazione (Amif), Strumento per la gestione delle frontiere e i visti (Bmvi) e Fondo sicurezza interna (Isf) – spesi attraverso programmi nazionali (così come quelli della politica di Coesione), i Ventisette devono dimostrare di essere in grado di applicare la Carta dei diritti fondamentali. Per dimostrarlo, devono avere dei meccanismi funzionanti di segnalazione e rendicontazione di potenziali casi di violazione dello Stato di diritto e dei diritti umani. In caso di mancata istituzione di questi meccanismi – come successo Polonia, Ungheria e Cipro – la Commissione Ue può comunque approvare i programmi presentati, ma non può rimborsare i soldi già spesi dalle capitali. In altre parole, il rispetto delle condizioni abilitanti orizzontali (e nello specifico quella sulla Carta) non riguarda solo la fase di adozione dei programmi, ma tutto il processo di esecuzione.
In questo contesto, lo scorso anno fonti Ue riferivano a Eunews che complessivamente Cipro, Polonia e Ungheria avevano 922 milioni di euro congelati, di cui Varsavia la maggior beneficiaria con 567,8 milioni (282,7 da Amif, 198,1 da Bmvi e 87 da Isf), seguita a ruota da Budapest con 223,1 milioni (69,8 da Amif, 102,8 da Bmvi e 50,5 da Isf) e Nicosia con 131,3 milioni (71,6 da Amif e 59,7 da Bmvi). “Oggi siamo chiamati a fare un aggiornamento sull’esecuzione di queste condizioni abilitanti orizzontali”, ha annunciato la direttrice responsabile per i Fondi Affari Interni della Commissione Ue, spiegando la situazione a marzo 2024: “Per l’Ungheria le condizioni per tutti i programmi sono soddisfatte tranne per Amif“, approvato ma “ancora bloccato per l’obiettivo specifico dell’asilo e dei rimpatri”, come emerge dalla decisione dell’esecutivo Ue sullo sblocco dei 10,2 miliardi di euro complessivi del dicembre 2023. Per quanto riguarda Cipro, “a gennaio 2024 ha presentato formalmente una giustificazione sul rispetto della Carta” e ora i servizi dell’esecutivo Ue stanno “esaminando le informazioni, a breve dovremmo prendere una decisione”. Infine, sull’ultimo Paese membro interessato, “dopo un’attenta valutazione la Commissione ha concluso che la Polonia ha attuato le misure per creare i meccanismi necessari, adesso la Carta è rispettata”.
Ma la questione non è così lineare, perché il rispetto delle condizioni abilitanti orizzontali e il loro monitoraggio rimangono uno dei temi più sensibili e meno trasparenti nella gestione dei fondi Ue. “Si tratta di una leva aggiuntiva sugli Stati membri, che può mitigare il rischio di abuso dei fondi europei, ma bisognerebbe migliorare la trasparenza di tutto il processo“, è l’affondo della Policy Officer del Consiglio Europeo per i Rifugiati e gli Esiliati (Ecre) Chiara Catelli: “A nostro avviso mancano criteri chiari utilizzati per valutare i programmi, non è chiaro perché in altri casi i programmi erano considerati ottemperanti”. Un esempio è quello fornito dalla Grecia, che “ha una lunga storia di abusi dei diritti fondamentali”, tra sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in materia di migrazione e asilo e procedure di infrazione lanciate lo scorso anno sui centri di accoglienza finanziati dall’Ue nelle isole greche: “Spiegare perché questi e altri programmi sono stati lanciati agevolerebbe il lavoro di monitoraggio”, ha incalzato Catelli. E un’occasione per fare già luce su “criteri e check-list applicate in questo caso e negli altri” dai servizi del Berlaymont può essere quella fornita dal deferimento della Commissione alla Corte di Giustizia dell’Ue da parte dell’Eurocamera per lo sblocco dei fondi Ue per l’Ungheria.
Un’ultima questione sollevata dalla Policy Officer di Ecre è legata sia al futuro Patto migrazione e asilo in via di approvazione definitiva da parte dei co-legislatori sia all’aumento di 2 miliardi di euro del budget relativo proprio all’attuazione del Patto dalla revisione intermedia del bilancio Ue 2021-2027. “Più fondi comportano una maggiore necessità di monitoraggio, perché ci sono diversi settori che suscitano particolare preoccupazione”, ha avvertito Catelli, parlando di un “aumento delle attività alla frontiera” che comporterà la nuova legislazione dell’Unione: “I finanziamenti non dovrebbero finire a centri di detenzione alla frontiera, ma possono essere utilizzati per rafforzare il quadro legato al monitoraggio dei diritti fondamentali“. In altre parole, un utilizzo “in maniera positiva”, in cui per esempio “il Bmvi prevede anche l’assistenza a persone vulnerabili o l’assistenza legale, anche se gli Stati membri non le vedono come un elemento prioritario nei propri programmi nazionali”.