Bruxelles – Al terzo tentativo, le nuove norme europee in materia di sostenibilità aziendale passano l’esame dei Paesi membri. Ma il compromesso sulla direttiva sulla due diligence è al ribasso: allo stato attuale, l’obbligo di mitigare l’impatto negativo su diritti umani e ambiente lungo tutta la catena di approvvigionamento varrà solo per le imprese con più di 1.000 dipendenti e un fatturato mondiale di almeno 450 milioni di euro.
Per forzare lo stallo sull’accordo raggiunto tra le istituzioni Ue lo scorso 14 dicembre, la presidenza belga del Consiglio dell’Ue ha dovuto apportare “importanti modifiche” al testo originale, venendo incontro “alle preoccupazioni di Stato e imprese“. Alla fine, oggi al Comitato dei rappresentanti permanenti dei 27 (Coreper) si è configurata la classica vittoria di Pirro: diversi governi – tra cui quelli italiano e francese – si sono convinti della bontà della direttiva, ma al prezzo di ridimensionare enormemente la sua portata.
Nella votazione sottoposta agli ambasciatori, a quanto si apprende si sono astenute Germania, Ungheria, Repubblica Ceca, Bulgaria, Slovacchia e Lituania, mentre Svezia e Austria hanno posto riserva di scrutinio. Hanno votato a favore Roma e Parigi, facendo così saltare la minoranza di blocco che per due volte – l’8 e il 28 febbraio – aveva impedito la conferma dell’accordo interistituzionale.
“Nell’Ue conta come sono fatti i prodotti”, ha esultato la presidenza belga dell’Ue annunciando lo sblocco della direttiva volta a “promuovere un comportamento aziendale sostenibile e responsabile, e porre l’accento sui diritti umani e sulle considerazioni ambientali per le operazioni delle aziende”. Ma il margine d’azione si è fortemente ridotto rispetto al testo uscito dai triloghi, che imponeva vincoli etici e ambientali su tutta la catena di approvvigionamento per tutte le imprese con oltre 500 dipendenti e un fatturato mondiale superiore a 150 milioni di euro. E che aveva allargato gli stessi obblighi anche per le medie imprese – con più di 250 dipendenti e un fatturato superiore a 40 milioni di euro – nei settori della produzione e commercio all’ingrosso di prodotti tessili, abbigliamento e calzature, agricoltura, silvicoltura e pesca, produzione di alimenti e commercio di materie prime agricole, estrazione e commercio all’ingrosso di risorse minerarie o fabbricazione di prodotti correlati e edilizia.
Di fronte alle resistenze manifestate il 28 febbraio da 14 governi nazionali – Svezia, Francia, Italia, Germania, Bulgaria, Slovacchia, Ungheria, Lussemburgo, Estonia, Finlandia, Lituania, Repubblica Ceca, Malta, Austria -, il Consiglio dell’Ue si è trovato costretto a proporre di innalzare le soglie per l’applicazione delle norme da 500 a 1.000 dipendenti e da 150 milioni a 300 milioni di fatturato. Incassando l’endorsement di Helsinki. Ma, nel tentativo di assicurare l’accordo in vista della riunione di oggi, la presidenza belga ha fatto circolare un nuovo testo di compromesso in cui il fatturato minimo per l’applicazione della direttiva è stato aumentato fino a 450 milioni.
Un testo “equilibrato ed efficace”, l’ha definito Palazzo Chigi in una nota, che “concentra gli oneri sulle società di grandi dimensioni meglio in grado di monitorare le proprie catene di approvvigionamento e di contribuire alla mitigazione degli effetti delle attività economiche sui cambiamenti climatici, nonché alla tutela dei diritti umani delle persone interessate dall’attività d’impresa”.
Non sono solo le piccole e medie imprese ad essere completamente esonerate dagli obblighi, ma le eccezioni valgono anche per una buona fetta di quelle che possono essere chiamate a tutti gli effetti grandi imprese. Per esempio il famoso marchio italiano di cosmetici e profumeria Kiko S.p.A., del gruppo Percassi con sede a Bergamo, secondo la classifica relativa al 2022 stilata da Quotidiano Nazionale ha fatturato 405 milioni di euro. E sarebbe così esonerato dagli obblighi di controllo sulla sua catena di approvvigionamento. Sempre che il testo della direttiva europea – che dovrà approdare nuovamente in Eurocamera per l’approvazione finale – venga confermato dagli eurodeputati nonostante le sostanziali correzioni fatte dal Consiglio ad accordo già raggiunto.