Bruxelles – Il Parlamento europeo porterà l’esecutivo Ue davanti alla Corte di giustizia sul caso dei 10,2 miliardi dai fondi di Coesione versati all’Ungheria a dicembre. Dopo la raccomandazione di adire la Corte formulata dalla commissione Juri del Parlamento europeo, la presidente Roberta Metsola ha informato oggi (14 marzo) i presidenti dei gruppi politici che incaricherà i servizi giuridici dell’istituzione di presentare il caso alla Corte di Lussemburgo a nome del Parlamento entro il 25 marzo, la scadenza giudiziaria stabilita.
Secondo quanto previsto dall’articolo 149 del regolamento interno, il Parlamento europeo può infatti deferire persone fisiche e giuridiche alla Corte europea di Giustizia per assicurare il rispetto dei trattati. Sotto accusa la legittimità della decisione unilaterale della Commissione in merito allo scongelamento dei fondi di coesione per l’Ungheria avvenuto lo scorso 13 dicembre.
A poche ore dal Consiglio europeo che ha dato poi il via libera all’apertura dei negoziati di adesione per l’Ucraina e la Moldova, l’esecutivo comunitario annunciò di voler procedere allo scongelamento di una parte dei fondi della politica di coesione, della pesca e degli Affari interni, bloccati precedentemente in attesa che Budapest attuasse riforme per migliorare la situazione dello Stato di diritto. In cambio, Orban rinunciò a mettersi di traverso sull’apertura dei negoziati di adesione a Ucraina e Moldova.
È arrivata immediatamente la risposta della Commissione europea, attraverso le parole di Christian Wigand, portavoce per le questioni relative allo Stato di diritto. L’esecutivo Ue “ritiene di aver agito nel pieno rispetto della legislazione dell’Unione europea e difenderà la propria decisione dinanzi alla Corte”, ha dichiarato. Wigand ha sottolineato che “l’Ungheria aveva presentato tutte le prove richieste per dimostrare l’indipendenza del suo sistema giudiziario”, motivo per cui la Commissione ha riscontrato “la parziale conformità di Budapest alle condizioni orizzontali abilitanti” necessarie allo sblocco dei fondi. Stando così le cose, Wigand ha concluso che “la Commissione è vincolata da tempi e condizioni rigorose stabilite dalla legislazione dell’Unione” e “ha quindi l’obbligo giuridico di adottare una decisione”.