Bruxelles – L’accordo di dicembre tra la Commissione europea e Viktor Orban che ha portato allo scongelamento di 10,2 miliardi di euro dei fondi di coesione per l’Ungheria è sotto la lente d’ingrandimento dell’Eurocamera. E potrebbe finire presto sotto quella della Corte europea di Giustizia. La commissione giuridica (Juri) del Parlamento europeo ha dato seguito alla richiesta degli eurodeputati e – in una sessione a porte chiuse – ha deciso di portare avanti il procedimento.
Il via libera è stato dato con 16 voti favorevoli, uno contrario e nessun astenuto. Ora, secondo quanto previsto dall’articolo 149 del Regolamento interno dell’istituzione Ue, toccherà a Roberta Metsola presentare il ricorso a nome del Parlamento, “conformemente alla raccomandazione della commissione competente per le questioni giuridiche”. Fonti dell’Eurocamera confermano che “come regola generale la Presidente segue sempre le raccomandazioni della Commissione” e che Metsola “informerà i capigruppo all’incontro della Conferenza dei Presidenti giovedì” 14 marzo. In ogni caso, la Corte ha stabilito la deadline per presentare il ricorso al 25 marzo.
“Le decisioni dell’Ue non possono essere comprate e vendute in contanti. La decisione della Commissione del dicembre 2023 che ha permesso pagamenti di oltre dieci miliardi di euro all’Ungheria è stato un atto di estorsione per conto di Orbán, non una valutazione accurata delle riforme in Ungheria”, ha commentato Sergey Lagodinsky, relatore ombra in commissione Juri. Il ‘fattaccio’ risale al 13 dicembre scorso, quando, a poche ore dal Consiglio europeo che ha dato il via libera all’apertura dei negoziati di adesione per l’Ucraina e la Moldova, l’esecutivo comunitario annunciò di voler procedere allo scongelamento di una parte dei fondi della politica di coesione, della pesca e degli Affari interni, bloccati precedentemente in attesa che Budapest attuasse riforme per migliorare la situazione dello Stato di diritto.
In cambio, Orban rinunciò a mettersi di traverso sull’apertura dei negoziati di adesione a Ucraina e Moldova. “Vogliamo che si verifichi la legittimità di quanto accaduto a dicembre, ma anche che in futuro sia assolutamente chiaro che il Parlamento europeo è molto fermo quando si tratta di condizionalità dello Stato di diritto”, ha avvertito la copresidente dei Verdi all’Eurocamera, Terry Reintke.
Non è la prima volta che l’Eurocamera avvia azioni giudiziarie nei confronti dell’esecutivo Ue. Sempre sulla base di una raccomandazione della commissione giuridica redatta da Lagodinsky, il Parlamento europeo aveva presentato una mozione contro la Commissione nel 2021 per la mancata attivazione del cosiddetto meccanismo di condizionalità nei confronti dell’Ungheria. Poi ritirata all’ultimo perché la Commissione decise di ritornare sui suoi passi. La Corte di Lussemburgo ritenne invece di respingere un ricorso del Parlamento contro la Commissione su una vicenda relativa alla mancata sospensione delle esenzioni dal visto per i cittadini statunitensi.
I fondi Ue congelati e scongelati all’Ungheria
Stando ai dati più accurati forniti a maggio 2023 dai servizi della Commissione, i fondi Ue destinati all’Ungheria congelati da Bruxelles si attestavano a 28,6 miliardi di euro, divisi in tre macro-aree: Piano nazionale di ripresa e resilienza (5,8 miliardi), fondi della politica di coesione (22,6 miliardi) e fondi per gli Affari interni (223 milioni). Le tre strade procedono in parallelo, ciascuna con una procedura specifica (o più, in base alla natura dei finanziamenti). La prima considera i “27 super-obiettivi” sullo Stato di diritto stabiliti il 30 novembre dello scorso anno dalla Commissione per sbloccare i fondi del Pnnr dell’Ungheria, ovvero 5,8 miliardi in sovvenzioni. Quanto ci si attende da Budapest è che venga rafforzata l’indipendenza giudiziaria, in modo che le decisioni dei giudici siano “protette da interferenze politiche esterne”.
Il secondo capitolo – decisamente il più complesso – è quello che riguarda i fondi della politica di coesione, che per l’Ungheria valgono complessivamente 22,6 miliardi di euro come finanziamenti dal budget comunitario. Di questi fondi 6,3 miliardi sono stati congelati attraverso il meccanismo di condizionalità sullo Stato di diritto per decisione del Consiglio nel dicembre 2022 (e che rimangono congelati). Si tratta di una procedura a sé stante che riguarda il 55 per cento dei fondi destinati all’Ungheria da tre programmi operativi finanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), dal Fondo di coesione, dal Fondo per la transizione giusta (Jtf) e dal Fondo sociale europeo Plus (Fse+): ‘Ambiente ed efficienza energetica Plus’, ‘Trasporto integrato Plus’, e ‘Sviluppo territoriale e degli insediamenti Plus’.
Dei restanti 16,3 miliardi, 12,9 miliardi erano vincolati solo all’implementazione delle riforme giudiziarie (senza ulteriori criteri) e si tratta di quelli che sono stati in parte sbloccati da Bruxelles dopo la richiesta di revisione. I restanti 3,4 miliardi sono bloccati per il mancato rispetto delle condizioni abilitanti orizzontali – ovvero le condizioni necessarie per quanto riguarda la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue – in tre controversie tra la Commissione e l’Ungheria: la legge ‘sulla protezione dell’infanzia’ (la legge anti-Lgbtq+), quella sull’indipendenza accademica e quella sul trattamento riservato alle persone richiedenti asilo. La prima questione è responsabile per lo stallo del 3 per cento del budget della politica di coesione (cioè 678 milioni), la secondo del 9 per cento (oltre 2 miliardi) e la terza di un ulteriore 3 per cento (altri 678 milioni). Per sbloccare questi fondi non è sufficiente mettere fine alle questioni legate all’indipendenza del sistema giudiziario (anche se rimane per tutti questi un pre-requisito), dal momento in cui devono essere risolte anche le pendenze riguardanti le altre condizioni abilitanti orizzontali.
C’è infine da considerare l’ultima questione, quella dei 223,1 milioni di euro di tre programmi dei Fondi per gli Affari interni. Come appreso da Eunews a febbraio da fonti interne all’esecutivo comunitario – e poi confermato di nuovo a metà novembre – si tratta di 69,8 milioni dal Fondo Asilo, migrazione e integrazione (Amif), 102,8 dallo Strumento per la gestione delle frontiere e i visti (Bmvi) e 50,5 dal Fondo sicurezza interna (Isf). Nonostante la mancanza di trasparenza della Commissione renda complesso capire esattamente quali fondi siano stati scongelati, fonti vicine al dossier riferiscono che si tratterebbe sia dei fondi Isf e Bmvi (vincolati esclusivamente alle questioni giudiziarie secondo le decisioni di implementazione), sia di quelli Amif legati all’accesso all’asilo (integrazione), mentre rimarrebbero bloccati quelli legati al non-respingimento (rimpatri).