Bruxelles – All’ultima possibilità sul calendario, si sblocca lo stallo sulle nuove norme a tutela dei quasi 30 milioni di rider e lavoratori delle piattaforme digitali in Ue. Il fronte dei quattro Paesi membri che si opponevano all’adozione della direttiva si sfalda: puntano i piedi i liberali in Germania e Francia, ma Grecia e Estonia appoggiano il testo di compromesso presentato dalla presidenza belga del Consiglio dell’Ue e archiviano la pratica.
Alla riunione dei ministri del Lavoro dei 27, le luci erano puntate soprattutto su un punto in agenda: l’ultimo tentativo per finalizzare la direttiva Ue sui lavoratori digitali prima della fine della legislatura. Ormai una saga, con la prima legge uscita dai negoziati interistituzionali affossata dagli Stati membri già a dicembre ed il nuovo accordo tra le istituzioni Ue su un secondo testo, molto meno ambizioso, proposto dal Belgio a febbraio per superare l’impasse. Ancora una volta bloccato in sede di Consiglio. Con l’insurrezione di una parte dell’Eurocamera, che ha denunciato l’aggressiva attività di lobbying messa in campo dai colossi della gig economy e i rapporti privilegiati di alcuni leader nazionali con alcune grandi aziende.
Ma sul testo della presidenza belga – e sulle maggiori flessibilità lasciate agli Stati membri per combattere il lavoro autonomo fittizio – hanno ceduto oggi due dei quattro Paesi che formavano una minoranza di blocco al Consiglio dell’Ue. “Le nuove norme dell’Ue daranno ai lavoratori delle piattaforme maggiori diritti e tutele senza ostacolare la capacità delle piattaforme di svilupparsi”, ha esulato il commissario Ue per il Lavoro e i diritti sociali, Nicolas Schmit.
I sì di Grecia e Estonia rompono la minoranza di blocco
A cambiare le carte in tavola, la Grecia e l’Estonia. La ministra del lavoro di Atene, Domna Michailidou, ha informato gli omologhi Ue che nonostante le “preoccupazioni che permangono”, il suo governo è pronto ad appoggiare la direttiva “per dar prova di spirito di compromesso”. Per la Grecia resta “importante garantire un quadro giuridico che funzioni per i datori di lavoro, i lavoratori e per il mercato“. Discorso simile portato al Consiglio dal collega estone: “Sostegno con spirito di compromesso”, sottolineando la necessità di “maggior chiarezza” e l’importanza di non legiferare “a spese del settore economico”.
A onor del vero anche il ministro del lavoro tedesco, Hubertus Heil, ha fatto “a titolo personale” i migliori auguri alla presidenza belga per la finalizzazione del fascicolo, definendolo “un passo importante per l’Europa sociale“. Ma il socialdemocratico, ostaggio dei liberali nella coalizione a semaforo che governa in Germania, ha dichiarato di doversi comunque astenere. La Francia, che nei giorni scorsi aveva tentato un’ultima volta di annacquare la direttiva, presentando una clausola che di fatto avrebbe annullato l’applicazione della presunzione di rapporto subordinato, ha confermato il proprio no. “Sin dall’inizio abbiamo caldeggiato un meccanismo di presunzione legale che fosse chiaro, che poggiasse su elementi che permettessero di tenere conto dei finti autonomi senza però rimettere in discussione lo status dei lavoratori veramente autonomi“, ha rivendicato il rappresentante diplomatico francese, Cyril Piquemal, a nome dell’Eliseo.
Per Parigi, nonostante “un’evoluzione nel testo” e “una maggiore discrezionalità” garantita ai governi nazionali, è ancora necessario chiarire che “spetti solo agli Stati membri determinare le nozioni di controllo e direzione” che caratterizzano un rapporto di lavoro subordinato. Nell’ipotesi che il punto “venga chiarito nei prossimi giorni, la Francia si riserva la possibilità di un voto positivo quando si procederà all’adozione formale della direttiva”, ha concluso Piquemal.
I nodi principali: la presunzione legale e l’inversione dell’onere della prova
Il principale elemento del compromesso raggiunto oggi ruota attorno a una presunzione legale che aiuterà a determinare il corretto status occupazionale delle persone che lavorano nelle piattaforme digitali. Spetterà agli Stati membri – sulla base dei contratti collettivi e della giurisprudenza Ue – stabilire i fatti che indicano controllo e direzione da parte dei datori di lavoro necessari per far scattare la presunzione di rapporto subordinato. Rimane la seconda colonna portante della direttiva a tutela dei lavoratori digitali: l’inversione dell’onere della prova, ovvero lo spostamento dal lavoratore alla piattaforma dell’obbligo di raccogliere le prove per dimostrare che un lavoratore è veramente autonomo.
Ma la direttiva è anche il primo atto legislativo dell’Ue a regolamentare la gestione algoritmica sul posto di lavoro: l’accordo garantisce che i lavoratori siano debitamente informati sull’uso di sistemi di monitoraggio e di decisione automatizzati riguardanti, tra l’altro, la loro assunzione, le loro condizioni di lavoro e i loro guadagni. Mentre per quanto riguarda le decisioni automatizzate, non potranno essere prese senza la supervisione e la valutazione umana. E i lavoratori avranno il diritto di ottenere una spiegazione e una revisione di tali decisioni.
Diversi Paesi membri hanno sottolineato, durante la sessione del Consiglio di oggi, che avrebbero appoggiato il compromesso nonostante la sua debolezza rispetto al testo uscito dal primo trilogo, quello di metà dicembre sotto la presidenza spagnola dell’Ue. A partire proprio da Madrid, che ha inoltre avvisato che se verrà inclusa nel testo finale la “clausola francese” ritirerà il proprio supporto. E ha espresso il proprio disaccordo per la “formulazione finale della presunzione di subordinazione”. Critici anche Portogallo, Bulgaria, Slovacchia, Malta, Lussemburgo, Repubblica Ceca. Ma di fronte alla consapevolezza che quella di oggi era l’ultima chance, passa per tutti l’idea che l’accordo è comunque un miglioramento dello stato attuale.
Per l’Italia, la ministra del Lavoro Marina Elvira Calderone ha espresso soddisfazione per una “soluzione di equilibrio” che ” ci lascia la libertà a livello nazionale di declinare i princìpi della direttiva nel nostro sistema, mantenendo le tutele per i lavoratori indipendentemente dal loro status, senza penalizzare le imprese”. Il governo italiano vince la sua piccola battaglia sull‘esclusione del settore dei taxi tradizionali dalla direttiva: fonti diplomatiche confermano che la Commissione ha chiarito che le norme “non si applicheranno al settore, in quanto già normato”.