Bruxelles – Donne e sport, binomio impossibile. La presenza femminile in campo e negli ambienti decisionali è ancora tutta da ricercare e promuovere. La disparità di genere in questo ambito è ancora molto, troppo, marcata, in Europa come altrove. Il centro studi e ricerca del Parlamento europeo, in occasione della giornata internazionale della donna, produce una panoramica piuttosto eloquente di un sistema ancora appannaggio degli uomini. In estrema sintesi, ancora oggi “lo sport è una delle istituzioni sociali della società moderna con la maggiore disparità di genere“, denuncia il documento.
C’è un sotto-rappresentazione femminile a livello organizzativo e gestionale. “Nonostante la chiara tendenza verso una maggiore presenza femminile, la partecipazione delle donne negli organismi di governance sportiva può ancora migliorare molto“. Ciò a livello internazionale come a livello nazionale. Guardando al Coi, “il Comitato olimpico internazionale conta attualmente solo un terzo di donne tra i membri effettivi e i membri onorari, ossia 47 su un totale di 147”. A livello di Unione europea nel 2023 “soltanto 4 dei 27 presidenti dei comitati olimpici nazionali erano donne”. Non finisce qui. Sempre nel 2023, rilevano gli esperti del Parlamento europeo, le donne ricoprivano soltanto il 22 per cento di tutte le posizioni decisionali di alto livello nelle federazioni nazionali dell’UE dei 10 sport più popolari“.
C’è poi la questione dello sport praticato. Le discipline sportive hanno visto crescere il movimento femminile, ma all’aumento delle atlete non corrisponde un aumento delle allenatrici. “Sebbene il numero di donne con un ruolo attivo nello sport sia aumentato vertiginosamente negli ultimi 50 anni, le allenatrici restano, su scala mondiale, una minoranza in quasi tutti gli sport e a tutti i livelli di prestazione”. Solo a titolo di esempio, si pensi che in Europa le donne rappresentavano soltanto il 31 per cento di tutti gli allenatori sportivi nel 2019.
Ancora, questione salari. Nello sport si replica quanto avviene nel mondo del lavoro: a parità di incarico, una donna guadagna meno di un uomo. Nello specifico, “il calcio, il golf e la pallacanestro rimangono gli sport con le maggiori discrepanze in termini di importo dei premi”, così come di busta paga. Vero è, sottolinea il documento, che “il divario tra le retribuzioni dei calciatori e delle calciatrici rimane esorbitante, e non solo nel calcio: nel 2023 tra i 100 atleti più retribuiti al mondo non compariva nemmeno una donna“.
Studio e situazione non sfuggono a Stefania Zambelli (Fi/Ppe), che invita la Commissione europea a cambiare rotta con tanto di interrogazione parlamentare, che annuncia nella giornata internazionale della donna. Qui denuncia la “situazione di discriminazioni e forte disparità”, come dimostrano, critica, “media che non danno la giusta rilevanza ad eventi sportivi femminili”, e un mondo dove, in Italia, “le calciatrici di Serie A guadagno in media 34 volte meno dei calciatori uomini“. All’esecutivo comunitario chiede di “lavorare a tutti i livelli per garantire piena parità anche nel mondo dello sport”. Una precisazione non casuale, visto che il centro studi e ricerche del Parlamento Ue mette in risalto come gli ultimi dati disponibili (2011) indicano come “il giornalismo sportivo sulla carta stampata fosse un mondo maschile”.
L’iniziativa di Zambelli serve a fare pressione sugli Stati. Con il trattato di Lisbona l’Unione europea ha acquisito una competenza specifica nel campo dello sport. L’articolo 6, lettera e), del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) conferisce all’Unione la competenza per sostenere o integrare l’azione degli Stati membri nel settore dello sport.