Mi piacciono molto le mele Pink Lady. Le compriamo sempre, ce ne sono sempre alcune proprio sul tavolo della nostra cucina, in un bel cestello “di design” che mi regalò anni fa un amico. Insomma, sono apprezzate e valorizzate. Devo dire che anche il mio cane ne adora i torsoli.
Però. Però ogni mela ha su un adesivo, un cuoricino, che garantisce che quella è una Pink Lady, “Simbolo ufficiale del piacere, è anche una garanzia di autenticità e della costanza della sua qualità per tutto l’anno; perché per essere una Pink Lady®, non basta volerlo”, spiega il sito dei produttori italiani (ma ce ne sono tanti nella altre due zone di produzione: in Francia, dove sono nate queste mele, e in Spagna). Detto cuoricino è un adesivo, fatto di un materiale che sembra plastico, attaccato con una colla (che certamente non è di tipo dannoso alla salute). Lo stesso adesivo è prodotto in qualche fabbrica di adesivi, che consuma energia per stamparlo, tagliarlo, confezionarlo per la spedizione, e che lo fa poi trasportare dove sono le mele da etichettare. Di Pink Lady se ne producono molte, la coltivazione va molto bene, e l’ultima stagione ce ne ha regalate in totale nelle tre zone di produzione 225.000 tonnellate. Il che vuol dire, dividendo per un peso medio di 160 grammi (almeno, quelle che compro qui in Belgio pesano questo, ma credo che sia un valore standardizzato) circa 1.406.250.000 mele.
Non sono riuscito a pesare l’adesivo, è davvero un “niente”, ma quando ne attacchi un miliardo e quattrocentomila (forse un po’ meno, non tutta la produzione è destinata al commercio al dettaglio) immagino si tratti di numerose centinaia di chili. Di etichette inutili, anche perché sempre, o quasi, queste mele sono confezionate in scatole di cartone, riciclabile, certificato Fsc, cioè da agricoltura responsabile, che contengono di solito sei frutti. E sono dunque ben riconoscibili dai consumatori.
Su questa cosa degli imballaggi inutili entro un po’ in fissa, tempo fa ho scritto delle scatole per le capsule di caffè, che spesso hanno dei divisori interni per tenere queste capsule (di solito di alluminio, che qui in Belgio si riciclano) in bell’ordine. Bello e inutile, perché non si tratta di oggetti che possono rompersi urtando l’una contro l’altra: non sono uova.
Insomma, mi pare ci sia tanto da fare in questo settore degli imballaggi, mi sembra che la normativa europea ora in discussione abbia ragion d’essere e che margini per rendere questo servizio ai consumatori più sostenibile ce ne siano molti, anche considerando le piccole etichette inutili.