Bruxelles – È una Ursula von der Leyen in assetto da campagna elettorale quella che ha parlato oggi (7 marzo) nella nuova veste di Spitzenkandidatin del Partito Popolare Europeo (Ppe) al Congresso di Bucarest. “Non c’è dubbio su cosa c’è in ballo in questa elezione, la nostra Europa pacifica e unita è sfidata come mai prima d’ora da populisti, nazionalisti e demagoghi, che siano di estrema destra o di estrema sinistra“, sono state le parole della presidente dell’attuale presidente della Commissione Europea e candidata comune alle elezioni europee del 6-9 giugno dei partiti affiliati al Ppe per un nuovo mandato al Berlaymont, dopo la nomina ufficiale arrivata proprio oggi al Congresso di Bucarest con 400 voti a favore e 89 contrari.
Nessuna sorpresa sulla nomina – considerato il fatto che von der Leyen era l’unica candidata in lizza e supportata dalla pressoché totalità dei leader dei partiti nazionali – ma ciò che ha più colpito a Bucarest è stata la veemenza e il vigore con cui la politica tedesca ha elencato le priorità della campagna elettorale del Ppe verso l’appuntamento alle urne di giugno. A partire dalle linee rosse dei popolari europei per le alleanze post-elettorali. “Che sia l’AfD, o Rassemblement National, Konfederacja o Vazrazhdane, i nomi possono essere diversi, ma l’obiettivo è lo stesso”, ha attaccato von der Leyen: “Vogliono calpestare i nostri valori e distruggere la nostra Europa, noi come Ppe non lo permetteremo mai“. I popolari rimangono determinati sui propri tre fondamenti, “pro-Ue, pro-Ucraina, pro-Stato di diritto”, e da qui si potranno innestare le future interlocuzioni per la maggioranza in Parlamento Europeo e per la scelta del nome per la presidenza della prossima Commissione da parte dei 27 capi di Stato e di governo al Consiglio Europeo. Che si tratti di rinnovare l’intesa con socialdemocratici e liberali, o di cercare nuove strade con i conservatori europei guidati da Giorgia Meloni, come aveva spiegato la stessa von der Leyen due settimane fa: “Coloro che difendono la democrazia contro gli euroscettici, coloro che difendono i nostri valori, chi è contro gli amici di Putin, questi sono coloro con cui voglio lavorare e con cui so di poter lavorare”.
La presidente della Commissione Europea – da oggi nella doppia veste anche di Spitzenkadidatin del Ppe alle europee del 2024 – ha usato gli stessi toni risoluti anche per elencare le priorità della famiglia politica europea dei popolari per la campagna elettorale, tracciando un cambio di rotta sui due pilastri principali del gabinetto von der Leyen in carica dal 2019: Green Deal e migrazione. “A differenza di altri, noi siamo per soluzioni pragmatiche e non ideologiche sul Green Deal Europeo”, ha rivendicato la candidata comune del Ppe, implicitamente rifacendosi a una retorica ormai ampiamente rodata dalla destra europea contro l’ex-vicepresidente socialista della Commissione Ue, Frans Timmermans: “Noi del Ppe sappiamo che non c’è economia competitiva senza protezione del clima e non c’è protezione del clima senza economia competitiva” e allo stesso tempo “siamo stati i primi a progettare il Green Deal in modo sociale, industriale ed economico“. Parlando del Patto migrazione e asilo in fase di ultimazione von der Leyen ha invece insistito solo sul fatto che “abbiamo rafforzato le frontiere europee e continueremo a farlo“, rafforzando la nuova narrativa secondo cui “siamo noi europei che decidiamo chi arriva in Europa e in quali circostanze, non le organizzazioni criminali di trafficanti”.
Tra i focus principali del discorso di von der Leyen inevitabile un forte richiamo agli agricoltori, considerata l’ondata di proteste che da due mesi ha travolto i Paesi membri e l’Unione nel suo insieme. “Voglio essere molto chiara, il Ppe sarà sempre dalla parte dei nostri agricoltori“, in particolare per “riportare sostenibilità” a un sistema alimentare in cui “a volte sono costretti a vendere latte, carne e grano sotto i costi di produzione, questo è totalmente inaccettabile”, perché “la nostra sicurezza alimentare dipende dalla sicurezza delle condizioni di vita dei nostri agricoltori”. Sul fronte della difesa – a soli due giorni dalla presentazione della nuova strategia europea per il prossimo futuro – la Spitzenkadidatin del Ppe ha ribadito che “l’Europa deve spendere di più, meglio e in modo europeo” nel settore della difesa e che “c’è un bisogno urgente di ricostruire e modernizzare le forze armate europee”. In caso di rielezione a presidente della Commissione Ue, von der Leyen ha messo in chiaro che “serve un commissario designato per la difesa per il prossimo mandato“, anche considerato che “saremo il partito dell’Unione della difesa”. Infine, parlando di sicurezza europea, è stato deciso il passaggio su Ucraina e Russia: “Navalny ha sacrificato se stesso per salvare il Paese, Putin ha sacrificato il Paese per salvare se stesso”, ma “non potrà distruggere il sogno di un’Ucraina libera e prospera, al centro dell’Unione Europea“. Mentre questo sogno “ora vive anche in Moldova, Georgia e nei Balcani Occidentali”, per Putin invece “c’è una Corte all’Aia che lo aspetta”.
“Al congresso di Bucarest – dichiara Salvatore De Meo, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Parlamento europeo – il PPE ha dimostrato la sua centralità in Europa confermandosi l’unica forza politica moderata, liberale, riformista ed europeista che guarda al futuro con ambizione, in grado di frenare contemporaneamente le tendenze euroscettiche e gli approcci ideologici dei partiti di destra e di sinistra”. De Meo ricorda che “abbiamo approvato all’unanimità un manifesto con cui presentiamo una concreta visione politica dell’Unione europea di domani nella quale assume un aspetto determinante il consolidamento di una politica estera che deve vedere l’Ue leader, capace di individuare soluzioni concrete ed essere vicina ai cittadini e alle imprese”.
Von der Leyen e gli altri Spitzenkandidaten alle europee 2024
Alle elezioni europee del 2024 von der Leyen sfiderà gli Spitzenkandidaten già nominati alla testa delle altre famiglie politiche europee. Il Partito Socialista Europeo (Pse) ha confermato l’attuale commissario europeo per il Lavoro e i diritti sociali, il lussemburghese Nicolas Schmit, al Congresso di Roma del 2 marzo, i Verdi Europei hanno scelto la tedesca Terry Reintke e l’olandese Bas Eickhout al Congresso di Lione il 2-4 febbraio, La Sinistra l’austriaco Walter Baier al Congresso di Lubiana il 23-24 febbraio, le intenzioni dei liberali di Renew Europe non sono ancora chiare a riguardo.
La figura dello Spitzenkandidat (Spitzenkandidatin al femminile) è stata introdotta per la prima volta per le elezioni europee del 2014, sulla scia degli accresciuti poteri che il Parlamento Ue si è visto attribuire dal Trattato di Lisbona – firmato nel 2007 ed entrato in vigore nel 2009 – e che gli eurodeputati hanno voluto interpretare nella maggior ampiezza possibile. Da parte dei partiti c’era anche la volontà di tentare un avvicinamento agli elettori, che hanno sempre visto la Commissione come un organo distante dalla vita dei cittadini ma con ampi poteri di incidere sulla loro vita. Indicare una persona vuol dire fare in modo che gli elettori possano conoscerla prima che assuma un incarico importante e, allo steso tempo, è anche una possibilità per i partiti per suggerire implicitamente chi vorrebbero evitare che – anche al loro interno – possa essere scelto dopo le elezioni.
Perché non sono i partiti a indicare formalmente il presidente della Commissione, e nemmeno l’Eurocamera. In base al Trattato di Lisbona questo potere spetta ai governi, riuniti nel Consiglio Europeo, che scelgono la persona che dovrà guidare la Commissione. Il nome viene proposto al Parlamento Europeo che, in ogni caso, ha il potere di approvare o meno la scelta. In sostanza è un potere condiviso, tra un’istituzione che sceglie e un’istituzione che approva. Ecco perché il possibile ‘corto circuito’ tra Consiglio e Parlamento può essere risolto con l’introduzione dello Spitzenkandidat, ma solo sul piano strettamente politico, perché su quello legale l’indicazione da parte dei partiti prima delle elezioni non ha alcun valore. A questo si aggiunge il fatto che nessun gruppo al Parlamento Europeo – alle condizioni attuali e verosimilmente anche post-elezioni di giugno – ha la forza di scegliere da solo il presidente della Commissione, che è frutto perciò di un accordo tra diverse forze politiche e con i governi nazionali.