Bruxelles – Il dossier ‘fondi Ue’ per la Polonia si è sbloccato ufficialmente. La Commissione Europea ha dato oggi (29 febbraio) il semaforo verde al flusso di finanziamenti europei a Varsavia dal Next Generation Europe e dalla politica di Coesione, per un valore complessivo pari a 137 miliardi di euro. Un annuncio atteso da giorni, dopo i colloqui a tre di venerdì scorso (23 febbraio) tra la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, il primo ministro polacco, Donald Tusk, e l’omologo belga e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Alexander De Croo, a Varsavia.
Più nello specifico l’esecutivo dell’Unione ha pubblicato tre decisioni che mettono la Polonia sulla buona strada per ricevere 76,5 miliardi di euro di fondi della politica di Coesione e 59,8 miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), di cui 5,1 miliardi sono già arrivati come pre-finanziamenti del capitolo RePowerEu dopo l’incontro di dicembre a Bruxelles tra von der Leyen e Tusk a margine del Consiglio Europeo. La prima decisione riguarda la valutazione preliminare positiva della prima richiesta di pagamento del Pnrr da 6,3 miliardi di euro, grazie al raggiungimento di due ‘super-obiettivi’ che permettono – come fanno sapere alti funzionari Ue – di “proteggere gli interessi finanziari dell’Unione prima di qualsiasi esborso di fondi”. Il via libera dai servizi del Berlaymont è arrivato grazie alle riforme sull’indipendenza giudiziaria iniziate nel giugno 2022 e completate dal governo Tusk a febbraio, in particolare sull’abolizione della Camera disciplinare della Corte Suprema (sostituita da un tribunale indipendente e imparziale) e l’introduzione di garanzie per i giudici perché non corrano rischi di responsabilità disciplinare per il contenuto delle loro sentenze o per l’applicazione del diritto dell’Ue (il secondo ‘super-obiettivo’ riguardava la possibilità di far riesaminare proprio i casi della Camera disciplinare abolita).
Le stesse fonti Ue precisano che il nuovo governo polacco è particolarmente “ambizioso” anche sulle prossime richieste di pagamento, al punto che “ce ne aspettiamo almeno un’altra o altre due quest’anno”, portando il Paese a buon punto per l’implementazione del Pnrr “alla fine del 2024”. Senza dubbio gioca a favore del neo-premier Tusk il piano d’azione presentato al Consiglio Affari Generali la scorsa settimana – con la sua “chiara affermazione dell’impegno a rispettare il primato del diritto dell’Unione e della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Ue” – per completare tutte le riforme richieste del sistema giudiziario. Tra gli altri benefici attesi per la Polonia dovrebbe esserci anche la chiusura della procedura aperta nel 2017 dalla Commissione secondo l’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea, che se approvata dal Consiglio avrebbe potuto privare il Paese dei suoi diritti di adesione.
La seconda decisione riguarda invece lo sblocco dei fondi della politica di Coesione, degli Affari interni e degli Affari marittimi, messi in stallo dal non soddisfacimento delle condizioni abilitanti orizzontali (i prerequisiti che gli Stati membri devono soddisfare per garantire l’uso efficace dei fondi Ue). Si tratta nello specifico di quattro condizioni abilitanti – aiuti di Stato, appalti pubblici, Convenzione sui diritti delle persone con disabilità e Carta dei diritti fondamentali – su otto fondi Ue: Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), Fondo sociale europeo Plus (Fse+), Fondo di coesione, Fondo per la transizione giusta (Jtf), Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura (Feamp) e i tre degli Affari interni, ovvero il Fondo Asilo e migrazione (Amif), il Fondo per la sicurezza interna (Isf) e lo Strumento per la gestione delle frontiere e dei visti (Bmvi). A questo punto la Commissione potrà iniziare a rimborsare le richieste di pagamento, che i funzionari Ue si aspettano nell’ordine dei “600 milioni di euro nelle prossime settimane”, per continuare poi nei prossimi anni secondo la tabella di marcia che riuscirà a mettere in campo Varsavia.
E infine la terza decisione che conferma la partecipazione della Polonia alla Procura europea (Eppo), dopo la richiesta inviata alla Commissione dal governo Tusk. Il candidato dovrà essere selezionato dalla Polonia e poi nominato dal Collegio dei procuratori europei, prima di poter iniziare – a partire da 20 giorni dopo la decisione di oggi dell’esecutivo Ue (cioè il 20 marzo) – a poter indagare e perseguire i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione commessi nel Paese dopo il primo giugno 2021. Le fonti precisano che l’importanza della partecipazione della Polonia all’Eppo risiede proprio nella quantità di fondi Ue ricevuti da Varsavia, ma anche nel fatto che ormai si sta sempre più chiudendo il cerchio dei Stati membri che ne fanno parte: tra quelli che mancano, la Svezia “si sta preparando”, con l’Irlanda “siamo in contatto per capire se è possibile”, e l’Ungheria “se decidesse di unirsi sarebbe magnifico”.
I contenziosi tra Ue e Polonia
Dal 2015 l’ex-partito al potere ultraconservatore Diritto e Giustizia ha messo sotto pressione i rapporti con Bruxelles sotto molti punti di vista, ma soprattutto sugli standard Ue di rispetto dello Stato di diritto. Dal 2021 è in corso un contenzioso legale determinato da due sentenze della Corte Costituzionale della Polonia: la prima del 14 luglio, quando i giudici di Varsavia hanno respinto il regolamento comunitario che permette alla Corte di Giustizia dell’Ue di pronunciarsi su “sistemi, principi e procedure” delle corti polacche, la seconda del 7 ottobre, quando la Corte Costituzionale ha messo in discussione il primato del diritto comunitario, definendo gli articoli 1 e 19 del Trattato sull’Unione Europea (Tue) e diverse sentenze dei tribunali dell’Ue “incompatibili” con la Costituzione polacca. Al centro della contesa c’è la decisione di sospendere provvisoriamente le competenze della sezione disciplinare della Corte Suprema della Polonia, a causa di alcuni provvedimenti arbitrari contro magistrati non graditi alla maggioranza di governo. Mentre è in corso la procedura di infrazione da parte della Commissione Europea, la Corte di Giustizia dell’Ue ha condannato il Paese membro a pagare un milione di euro di multa al giorno: dal 27 ottobre 2021 al 14 aprile 2023 il conto era salito a oltre mezzo miliardo di euro (526 milioni per l’esattezza).
A questo si aggiunge il contenzioso tra Varsavia e Bruxelles sulla miniera di Turów. Il 20 settembre 2021 la Corte di Giustizia dell’Ue aveva deciso di imporre alla Polonia una multa giornaliera di 500 mila euro per non aver fermato le operazioni della miniera e della relativa centrale elettrica al confine con la Repubblica Ceca a seguito della denuncia di Praga nel febbraio dello stesso anno. Secondo i giudici europei le attività della miniera prorogate fino al 2026 avrebbero conseguenze negative sull’approvvigionamento idrico dei suoi cittadini sul confine, ma Varsavia si è rifiutata di pagare quanto stabilito dalla sentenza. Nonostante la chiusura del caso il 4 febbraio 2022 grazie a un accordo tra i due governi, la Corte di Giustizia dell’Ue ha deciso di chiudere il caso ma senza revocare la multa. È così che pochi giorni più tardi la Commissione Ue ha deciso di trattenere circa 15 milioni di euro dai fondi comunitari destinati alla Polonia proprio a causa del mancato pagamento di quanto imposto dalla Corte Ue dal 20 settembre al 19 ottobre 2021. Il contrasto è proseguito nel corso del successivo anno e mezzo di governo Morawiecki, con l’apice raggiunto lo scorso 10 dicembre – lo stesso giorno in cui l’ex-premier Morawiecki è stato bocciato al Parlamento nazionale per un nuovo mandato da premier – quando la Corte Costituzionale della Polonia ha dichiarato incostituzionali le multe imposte anche in merito alla miniera di lignite di Turów.