Dall’inviato a Strasburgo – Gli Stati membri affossano la direttiva Ue sulla due diligence in materia di sostenibilità aziendale e impediscono l’adozione di obblighi stringenti per le imprese sul rispetto dei diritti umani e dell’ambiente . Ad accordo già siglato – da oltre due mesi – per la seconda volta la presidenza belga del Consiglio dell’Ue è costretta a rimandare la partita per l’approvazione finale. Ma questa volta a mettersi di traverso non c’erano solo Germania, Italia, Austria e Finlandia, ma 14 governi nazionali.
In mattinata la presidenza belga dell’Ue ha fatto sapere che, “nonostante gli sforzi, non è stato trovato il sostegno necessario” da parte degli ambasciatori dei Paesi membri. A quanto si apprende, dopo un giro di opinioni il Belgio ha dovuto constatare che non c’erano in numeri per raggiungere la necessaria maggioranza qualificata. Se a dare un parere contrario è stata solo la Svezia, ben 12 Paesi – Italia, Germania, Bulgaria, Slovacchia, Ungheria, Lussemburgo, Estonia, Finlandia, Lituania, Repubblica Ceca, Malta, Austria – si sarebbero astenuti. Che, ai fini del voto, vale come chi si dichiara contrario.
“Ora dobbiamo considerare lo stato dei lavori e vedremo se è possibile affrontare le preoccupazioni avanzate dagli Stati membri, in consultazione con il Parlamento europeo”, ha concluso la presidenza belga, ribadendo l’intenzione di rimettere sul tavolo il dossier un’ultima volta, nel tentativo di finalizzarlo prima della fine della legislatura.
Le nuove norme, proposte dalla Commissione europea a febbraio 2022, avevano completato il lungo iter comunitario con l’accordo dello scorso 14 dicembre nei triloghi interistituzionali. A quell’appuntamento, il Consiglio arrivava forte del mandato negoziale sostenuto dalla grande maggioranza degli Stati membri. Ma diversi hanno deciso in extremis di chiudere la porta. Tra cui – spiegano fonti Ue – anche l’Italia, che aveva sostenuto l’orientamento adottato a dicembre sotto presidenza spagnola.
Le stesse fonti spiegano che Parigi avrebbe addirittura cambiato posizione solo oggi, non esprimendo sostegno al testo attuale e condizionando il proprio appoggio a delle modifiche sostanziali che saranno ora considerate dalla Presidenza. La notizia da Bruxelles è corsa rapidamente a Strasburgo, dove è in corso la plenaria del Parlamento europeo. A quel punto, la relatrice della proposta per l’Eurocamera, la socialista olandese Lara Wolters, si è presentata furibonda in conferenza stampa e ha denunciato “l’oltraggio” subito dal Parlamento, che “mina la fiducia necessaria per raggiungere accordi” tra le istituzioni.
Perché quel che sta succedendo sulla direttiva sull’etica d’impresa è la fotocopia di quanto è già successo con la direttiva sui diritti dei lavoratori digitali, con gli Stati membri che formano una minoranza di blocco a giochi già fatti. E fanno così gli interessi del mondo delle imprese, a discapito dei lavoratori e dell’ambiente.
“Quello che è successo oggi è molto preoccupante” e “mi indigna”, ha attaccato Wolters, sottolineando che “questa legge dovrebbe essere un punto di riferimento globale per responsabilizzare le aziende e incentivare una condotta aziendale responsabile”. Esattamente come per le nuove norme a tutela dei riders, Wolters ha inoltre denunciato “una significativa pressione” da parte delle aziende e delle grandi associazioni industriali sui governi nazionali. “Non è un segreto che il Medef in Francia e la Bdi in Germania siano contro la direttiva”, ha ricordato ancora. E anche Confindustria aveva definito la direttiva “macchinosa e ingestibile“, prefigurando carichi burocratici enormi “sulle imprese e sulla competitività europea”.
Sull’Italia, la relatrice del testo per l’Eurocamera ha evidenziato una mancanza di chiarezza nelle dichiarazioni ufficiali del governo. “Ma cos’è chiarissimo è che dietro le quinte Giorgia Meloni ha subito forti pressioni“, ha aggiunto. Un’eventualità che “non stupisce” il capodelegazione del Partito Democratico a Bruxelles, Brando Benifei, “sapendo che il governo italiano è completamente nelle mani di grandi interessi economici”. Raggiunto da Eunews, Benifei ha rincarato la dose: “Mi pare chiaro che come sui riders prevalgono interessi lobbistici di grandi realtà aziendali“.
La direttiva: mitigare l’impatto su diritti umani e ambiente “da monte a valle”
La direttiva, così come era uscita dalle trattative interistituzionali, avrebbe stabilito una serie di obblighi per le aziende che operano nell’Ue in modo da mitigare il loro impatto negativo sui diritti umani e sull’ambiente. Lavoro minorile, schiavitù, sfruttamento del lavoro, inquinamento, deforestazione, consumo eccessivo di acqua o danni agli ecosistemi: tutte le imprese con oltre 500 dipendenti e un fatturato mondiale superiore a 150 milioni di euro non avrebbero più potuto chiudere un occhio sul mancato rispetto di vincoli etici e ambientali su tutta la catena di approvvigionamento. Le aziende avrebbero infatti dovuto “identificare, valutare, prevenire, mitigare, porre rimedio al proprio impatto negativo e a quello dei propri partner a monte e a valle”: produzione, fornitura, trasporto e stoccaggio, progettazione e distribuzione.
Le stesse norme sarebbero valse per le medie imprese – con più di 250 dipendenti e un fatturato superiore a 40 milioni di euro – nei settori della produzione e commercio all’ingrosso di prodotti tessili, abbigliamento e calzature, agricoltura, silvicoltura e pesca, produzione di alimenti e commercio di materie prime agricole, estrazione e commercio all’ingrosso di risorse minerarie o fabbricazione di prodotti correlati e edilizia.
Proprio qui sta il punto sollevato dalla Francia: diversi rumors parlano di una proposta messa sul piatto da parte dell’Eliseo, che vorrebbe escludere dagli obblighi previsti dalla direttiva tutte le aziende al di sotto dei 5000 dipendenti. “Non mi risulta sia arrivata una proposta formale, ma se fosse questa sarebbe un oltraggio al Parlamento europeo e al processo democratico”, ha dichiarato a proposito Lara Wolters.
L’Eurocamera aveva previsto alcuni benefici per le aziende con più di mille dipendenti che avessero attuato pienamente la direttiva. Un elemento sottolineato anche da Benifei, secondo cui le nuove norme avrebbero premiato “chi già oggi, e sono molti, si impegna per il rispetto della sostenibilità sociale e ambientale”. Per motivare le imprese, il rispetto degli obblighi di due diligence avrebbe fatto parte dei criteri di aggiudicazione di appalti pubblici e concessioni, mentre tutti i Paesi membri avrebbero dovuto designare un’autorità di vigilanza per monitorare il rispetto delle norme. Organismi con la facoltà di avviare indagini e imporre sanzioni alle aziende non conformi, con multe fino al 5 per cento del loro fatturato netto mondiale.