Bruxelles – L’Ungheria ha un nuovo presidente della Repubblica, dopo lo scandalo di abusi sessuali su minori che ha portato alle dimissioni dell’ormai ex-capa dello Stato, Katalin Novák. L’Assemblea Nazionale di Budapest ha nominato nel pomeriggio di ieri (26 febbraio) – a seguito del voto decisivo sulla ratifica del protocollo di adesione della Svezia alla Nato – il numero uno della Corte Costituzionale, Tamas Sulyok, come nuovo presidente ungherese, nel tentativo di mettere fine alla crisi politica che nel corso del mese di febbraio ha rischiato di travolgere il sistema di potere del primo ministro, Viktor Orbán.
Potendo contare su due terzi dei deputati in Parlamento, la coalizione di governo guidata da Fidesz ha agevolmente dato il via libera alla nomina di Sulyok, che ha già prestato giuramento e ora diventerà presidente dell’Ungheria martedì prossimo (5 marzo). Dal 2014 Sulyok era giudice della Corte Costituzionale, con la presidenza assunta due anni più tardi. Nel suo discorso post-elezione a capo dello Stato ha promesso trasparenza nelle sue decisioni sulla grazia, anche se le opposizioni ne hanno criticato la nomina, in quanto Sulyok non ha esperienza politica e perché – nonostante la carica sia prettamente cerimoniale – non sono state ascoltate le richieste delle piazze in protesta per l’elezione diretta del presidente della Repubblica.
Lo scandalo della grazia presidenziale in Ungheria
Nel corso delle ultime settimane – e in particolare lo scorso fine settimana – decine di migliaia di persone nelle maggiori città del Paese hanno rafforzato le proteste contro il sistema di potere che si è reso responsabile di un enorme scandalo di abusi sessuali su minori. Tutto è nato con la grazia concessa dall’ormai ex-presidente Novák e appoggiata dalla ministra della Giustizia dimissionaria, Judit Varga, al vicedirettore di un orfanotrofio statale che era stato incarcerato per aver coperto una serie di abusi sessuali sui minori nella struttura. La grazia era stata concessa lo scorso anno, ma la notizia è diventata di dominio pubblico solo nelle ultime settimane, scatenando l’indignazione popolare.
È così che la pressione dell’opinione pubblica ha costretto alle dimissioni entrambe le dirette responsabili – ed entrambe strette alleate di Orbán – anche se le manifestazioni di piazza non si sono placate. “Il 2024 non poteva iniziare in modo peggiore, il nostro Presidente della Repubblica ha presentato le sue dimissioni al Parlamento, è come un incubo che si ripercuote su tutti noi”, aveva affermato il premier ungherese nel suo discorso alla nazione sabato scorso (17 febbraio). “Dobbiamo sottoporre un nuovo pacchetto legislativo sulla protezione dell’infanzia all’Assemblea Nazionale”, era stata la promessa dell’uomo forte di Budapest, che ora rischia sul piano politico. Non tanto per la tenuta del governo – in Parlamento la maggioranza non traballa e le elezioni sono previste per il 2026 – quanto piuttosto per le prospettive di un rafforzamento di Fidesz nella prossima legislatura a Bruxelles, nel caso in cui non riuscisse a riprendersi da questo passo falso in tempo per le elezioni europee di giugno.