Bruxelles – Entro lunedì 26 febbraio Israele è chiamata a presentare a l’Aia un rapporto che spieghi le misure messe in campo nell’offensiva contro Hamas per scongiurare un genocidio contro il popolo palestinese a Gaza. Che lo faccia o meno, la Corte Internazionale di Giustizia ha ritenuto “plausibili” le accuse messe nero su bianco dal Sudafrica. E questo obbliga già tutti i Paesi firmatari della Convenzione sul genocidio a fare il possibile per prevenire che venga commesso quel crimine.
È la denuncia della Federazione Internazionale dei Diritti Umani (Fidh), che ha organizzato al Parlamento europeo – insieme al gruppo dei Greens – una conferenza sulle implicazioni politiche e legali della qualificazione di genocidio a Gaza. Raggiunto da Eunews, il vicepresidente di Fidh, Alexis Deswaef, ha spiegato che nel trattato internazionale sono previste delle “obbligazioni per i Paesi terzi”. E l’articolo 3 della Convenzione stabilisce chiaramente che tra gli atti puniti è incluso anche “la complicità” nel genocidio.
“Non è vendendo armi che adempiamo i nostri doveri – ha insistito Deswaef -, se i Paesi non prendono misure, potranno essere ritenuti complici di genocidio”. Secondo i dati più recenti, pubblicati dallo Stockholm International Peace Research Institute e relativi al 2022, da Washington arriva circa il 70 per cento delle armi utilizzate dalle Forza di difesa israeliane (Fdi), mentre il secondo fornitore di equipaggiamento militare per Tel Aviv è la Germania (24 per cento dell’arsenale israeliano), seguita dall’Italia (5,6 per cento).
Il Belgio, uno dei Paesi dell’Ue più critico nei confronti dell’operazione militare israeliana nella Striscia di Gaza, dopo l’allarme della Corte de l’Aia sul rischio di genocidio ha sospeso temporaneamente le licenze in corso per la vendita a Israele di polvere da sparo. “È anche per questo che il procedimento alla Corte internazionale di Giustizia è cosi importante, per mettere pressione ai Paesi terzi per non collaborare con un governo e un esercito criminale”, prosegue l’avvocato e vicepresidente di Fidh. In Italia, dopo le accuse lanciate a metà gennaio dalla segretaria del Partito democratico, Elly Schlein, il ministro degli Esteri Antonio Tajani aveva assicurato che Roma “ha interrotto l’invio di qualsiasi tipo di armi a Israele” dal 7 ottobre.
Secondo la Fidh, che raccoglie 188 organizzazioni nazionali di difesa dei diritti umani in oltre 100 paesi del mondo, “basta guardare i media israeliani e i discorsi di membri del governo e capi militari” per rendersi conto che usare la parola genocidio non è a sproposito. Al di là del numero delle vittime, più di 29 mila – e diverse migliaia di dispersi sotto le macerie – in quattro mesi e mezzo di bombardamenti a tappeto.
Nella giurisprudenza internazionale, per genocidio si intende una serie di crimini commessi “con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico o religioso”.
Per fare pressione sul governo israeliano, a Bruxelles gli strumenti non mancherebbero: sospendere l’accordo di associazione, proporre un embargo sulla vendita di armi, imporre sanzioni contro i coloni violenti in Cisgiordania. La lista è lunga. A mancare è la volontà politica. Ma anche qui, il procedimento innescato dal Sudafrica a l’Aia potrebbe fare la differenza ed essere “la goccia che fa traboccare il vaso”, si augura Deswaef.
Spagna e Irlanda hanno richiesto alla Commissione europea una revisione urgente degli obblighi sul rispetto dei diritti umani previsti nell’articolo due dell’accordo di associazione Ue-Israele. Un accordo che prevede una serie di privilegi commerciali alle imprese israeliane nel mercato europeo. “Possiamo constatare che di rinnovo in rinnovo questo accordo non viene rispettato e la situazione oggi ha raggiunto un punto assolutamente critico, per cui una possibile misura è quella di sospendere l’accordo come sanzione contro questo governo criminale israeliano”, ha dichiarato Deswaef.
Al Parlamento europeo era presente anche l’ambasciatore del Sudafrica in Olanda, Vusi Madonsela, che ha ricordato quanto il proprio Paese abbia “diretta esperienza dell’importanza delle istituzioni multilaterali e delle Nazioni Unite”. La liberazione dall’apartheid, raggiunta nel 1991, “fu dovuta in larga parte” alle sanzioni economiche e alla pressione della comunità internazionale sul regime di Johannesburg.