Bruxelles – Di fronte alle continue prove di non-allineamento da parte della Serbia del presidente Aleksandar Vučić – se non di vere e proprie provocazioni – alla politica Ue sul rapporto con la Russia di Vladimir Putin, l’Unione Europea nel suo complesso sembra a tutti gli effetti immobile e incapace di reagire. Perché se alcune istituzioni sono in grado di porsi in netta opposizione e prendere posizioni anche durissime (come il Parlamento Ue ha fatto recentemente), altre non stanno nemmeno provando a far capire a Belgrado che ogni azione negativa sul percorso di adesione Ue può comportare una reazione uguale e contraria a Bruxelles.
“Il nuovo slancio del processo di allargamento dell’Ue offre alla Serbia e ai Balcani Occidentali l’opportunità di avanzare, mentre il Piano di crescita accelererà l’integrazione, il momento di agire è adesso”, è quanto scritto in un post su X dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, al termine di una telefonata con il leader serbo sulla “strada da seguire per il cammino della Serbia verso l’Ue”. Un messaggio non particolarmente vibrante, che in un certo modo stona con la settimana di dichiarazioni e azioni politiche all’insegna dell’intesa storica tra Belgrado e Mosca, nonostante gli ostacoli della guerra in Ucraina per le relazioni tra Vučić e Putin. Nel corso degli ultimi due anni il presidente serbo ha dovuto fare l’equilibrista per non diventare il paria in Europa – abbracciando un’opposizione totale alla linea dura dell’Ue contro il Cremlino – ma allo stesso tempo per non trovarsi costretto a recidere il legame con Mosca adottando le sanzioni internazionali.
In altre parole, mentre rimane aperta la strada verso l’adesione all’Ue, la Serbia di Vučić è l‘unico partner dell’Unione che rivendica il non-allineamento alla Politica estera e di sicurezza comune, soprattutto sulle sanzioni contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina, nemmeno a livello di principio. “Avete molti amici in tutti i Paesi europei, e tutti hanno imposto sanzioni alla Russia, l’unico Paese che non l’ha fatto è la piccola Serbia“, è il messaggio dello stesso presidente Vučić in un’intervista per l’agenzia di stampa russa Tass, condito con quella che non può non essere considerata una palese provocazione all’indirizzo di Bruxelles: “Un vero amico si riconosce nei momenti di difficoltà, è in questi momenti che si mostra il proprio vero volto”. Mentre a ogni appuntamento internazionale “l’argomento principale sono le sanzioni contro la Russia”, Vučić ha ribadito che “ci sforzeremo di difendere la nostra posizione il più a lungo possibile, ci siamo riusciti per due anni, spero riusciremo a continuare a farlo”.
Non sono solo le sanzioni alla Russia a rappresentare un nodo nei rapporti tra Bruxelles e Belgrado. Nonostante riceverà un pacchetto di sostegno energetico da Bruxelles pari a 165 milioni di euro – oltre a quanto già previsto dal Piano economico e di investimenti e ai possibili stanziamenti del Piano di crescita per i Balcani Occidentali – nel maggio 2022 Vučić ha siglato un’intesa con Putin per tre anni di gas russo a condizioni favorevoli. Per il Cremlino la Serbia è una sorta di testa di ponte nei Balcani Occidentali, tanto che Bruxelles continua a sollevare preoccupazioni sulla possibile destabilizzazione russa della regione dopo l’attacco armato all’Ucraina. Una delle modalità privilegiate è attraverso la disinformazione e la propaganda anti-occidentale che sul territorio serbo è reso possibile da Russia Today Balkan, emittente bandita dall’Unione Europea ma dal luglio 2022 operativa a Belgrado.
E poi c’è la questione del rapporto militare, che è emersa in maniera preoccupante proprio nel corso degli ultimi giorni. Lo stesso presidente Vučić ha presentato giovedì scorso (15 febbraio) la nuova integrazione nell’arsenale dell’esercito serbo, il sistema anti-drone Repellent acquistato dalla Russia: un sistema mobile che può distruggere sciami di droni di sorveglianza e d’attacco, consentendo di individuare e neutralizzare automaticamente i droni da ricognizione e i droni kamikaze nemici a distanze fino a 30 chilometri. A questo si aggiunge poi l’investimento da 300 milioni di euro nell’industria nazionale, in particolare i sistemi di artiglieria. Presentandoli, Vučić ha lanciato un altro messaggio non poco equivoco: “Possiamo amare i droni e gli elicotteri, ma è l’artiglieria a vincere sul fronte, lo possiamo vedere in Ucraina“.
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