Bruxelles – Dopo il risultato storico della concessione dello status di candidato all’adesione Ue, per la Georgia la sfida dell’avvicinamento all’Unione è appena iniziata. “Abbiamo piani ambiziosi per l’integrazione, entro il 2030 la Georgia sarà pronta più di qualsiasi altro Paese candidato per l’adesione“, ha messo in chiaro il primo ministro della Georgia, Irakli Kobakhidze, in conferenza stampa a Bruxelles oggi (20 febbraio) al termine dell’ottava sessione del Consiglio di Associazione Ue-Georgia. O, per dirla in termini più diretti, “al massimo entro il 2030 la Georgia sarà membro Ue“.
L’obiettivo è stato fissato dal primo ministro entrato in carica lo scorso 8 febbraio, in uno scambio di ruoli con l’ex-premier Irakli Garibashvili (che a sua volta ha sostituito Kobakhidze alla testa del partito al potere Sogno Georgiano), per preparare il percorso di avvicinamento alle elezioni legislative in programma il 26 ottobre. Elezioni definite “un test importante per la democrazia georgiana” dall’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, che ha esortato il governo a “completare le riforme con tutte le raccomandazioni per elezioni libere, eque e competitive”. Tornando alla questione dell’adesione all’Unione, il premier Kobakhidze ha assicurato che a Tbilisi “non cerchiamo scorciatoie“, ma che oggi “abbiamo voluto dimostrare i nostri progressi per rispettare i nostri impegni” verso il prossimo step del processo: “Aprire i negoziati di adesione e integrarci nel Mercato unico“.
La richiesta della Georgia di aderire all’Ue è arrivata il 3 marzo 2022, a una settimana dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Tre mesi più tardi il gabinetto von der Leyen ha indicato a Tbilisi la necessità di lavorare su una serie di priorità, con la decisione definitiva del Consiglio Europeo del 23 giugno che ha approvato la linea tracciata dalla Commissione: mentre l’Ucraina e la Moldova sono diventati Paesi candidati, la Georgia ha ricevuto solo la “prospettiva europea”. In un anno e mezzo di lavoro le autorità nazionali sono riuscite a completare 3 priorità su 12 – come confermato dal Pacchetto Allargamento 2023 – ma la Commissione Ue ha comunque deciso di indicare ai Ventisette la possibilità di concedere a Tbilisi lo status di candidato “a condizione che vengano prese alcune misure”: più precisamente allineamento alla politica estera dell’Unione, contrasto alla polarizzazione politica, attuazione delle riforme giudiziarie, lotta alla corruzione e alla de-oligarchizzazione e attuazione della strategia per i diritti umani, la libertà dei media e l’impegno della società civile. Il passo decisivo a Bruxelles è stata preso all’ultimo Consiglio Europeo del 14-15 dicembre, quando i 27 leader Ue hanno deciso di rendere la Georgia il nono Paese candidato ufficialmente a fare ingresso nell’Unione.
Lo stesso alto rappresentante Borrell ha voluto sottolineare il fatto che la prima visita all’estero del neo-premier Kobakhidze sia stata a Bruxelles: “È la dimostrazione che prendete il percorso Ue seriamente”. Ma questo non alleggerisce il lavoro che Tbilisi deve fare per “un allineamento significativo nei prossimi anni” alla Politica estera e di sicurezza comune (Pesc) dell’Unione, sulla lotta alla disinformazione, alla manipolazione delle informazioni e all’interferenza estera – “ne vedremo ancora di più con le elezioni europee e con le vostre elezioni” – ma soprattutto sull’implementazione delle riforme secondo le 9 priorità ancora non rispettate: “La porta è aperta, dovete attraversarla rispettando i criteri che sono uguali per tutti”, ha ribadito Borrell. A fargli eco il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi: “Bisogna capitalizzare la decisione del Consiglio, chiediamo di accelerare il lavoro sulle riforme per passare allo stadio successivo”. Nel frattempo si possono guardare i progressi sulla cosiddetta “integrazione anticipata” in settori specifici: “Abbiamo tutto a disposizione per fare una proposta al Consiglio per integrare la Georgia il prima possibile all’area roaming, sarebbe un cambiamento che i cittadini possono vedere in modo tangibile al pari della liberalizzazione dei visti”, ha assicurato il commissario Várhelyi.
La situazione politica in Georgia
Nonostante la concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue, il rapporto tra Bruxelles e Tbilisi rimane particolarmente complesso a causa dello scollamento tra una popolazione a stragrande maggioranza filo-Ue e un governo quantomeno controverso sulle tendenze filo-russe (anche se poi ha fatto richiesta di aderire all’Unione per i timori sollevati dall’espansionismo del Cremlino). Non solo è evidente la difficoltà a implementare le riforme richieste dal cammino di avvicinamento all’Unione, ma nel corso degli ultimi due anni si sono registrati episodi che hanno evidenziato l’ambiguità del partito al potere Sogno Georgiano – il cui fondatore è l’oligarca Bidzina Ivanishvili, che compare nella risoluzione non vincolante del Parlamento Ue che chiede sanzioni personali nei suoi confronti. Per esempio, nel maggio dello scorso anno sono ripresi dei voli tra Georgia e Russia dopo la decisione di Mosca di eliminare il divieto in vigore, e il Paese caucasico non si è mai allineato alle misure restrittive introdotte da Bruxelles contro il Cremlino dopo l’invasione dell’Ucraina. Lo scorso autunno il governo ha anche tentato di mettere sotto impeachment (fallito) la presidente della Repubblica, Salomé Nino Zourabichvili, per una serie di viaggi nell’Unione Europea che che avrebbero rappresentato una violazione dei poteri della capa di Stato secondo la Costituzione nazionale.
A cavallo della decisione di Bruxelles di giugno 2022 di non concedere ancora alla Georgia lo status di candidato all’adesione, a Tbilisi si sono svolte due grandi manifestazioni pro-Ue: una ‘marcia per l’Europa’ per ribadire l’allineamento del popolo ai valori dell’Unione e una richiesta di piazza di dimissioni del governo. I tratti comuni di queste manifestazioni sono state le bandiere – bianca e rossa delle cinque croci (nazionale) e con le dodici stelle su campo blu – cartelli con rivendicazioni europeiste e l’inno georgiano intervallato dall’Inno alla Gioia. Nel marzo dello scorso anno sono poi scoppiate dure proteste popolari contro un controverso progetto di legge sulla ‘trasparenza dell’influenza straniera’ di filo-russa memoria, per registrare tutte le organizzazioni che ricevono più del 20 per cento dei loro finanziamenti dall’estero come ‘agente straniero’ (in modo simile a quanto in vigore in Russia dal primo dicembre dello scorso anno). Dopo l’approvazione in prima lettura da parte del Parlamento decine di migliaia di cittadini georgiani sono scesi in piazza con le bandiere della Georgia e dell’Unione Europea – gridando slogan come Fuck Russian law e tappezzando la città di insulti a Putin – sostenuti sia dalle istituzioni Ue sia dalla presidente Zourabichvili. Dopo due giorni di proteste ininterrotte il partito Sogno Georgiano ha ritirato il progetto di legge, ma senza sconfessare la propria iniziativa.
In questo scenario non va dimenticato il rapporto particolarmente delicato della Georgia con la Russia, Paese con cui confina a nord. La candidatura all’adesione Ue e Nato – sancita dalla Costituzione nazionale – da tempo è causa di tensioni con il Cremlino. Dopo i conflitti degli anni Novanta con le due regioni separatiste dell’Ossezia del Sud (1991-1992) e dell’Abkhazia (1991-1993) a seguito dell’indipendenza della Georgia nel 1991 dall’Unione Sovietica, sul terreno la situazione è rimasta di fatto congelata per 15 anni, con le truppe della neonata Federazione Russa a difendere i secessionisti all’interno del territorio rivendicato. Il tentativo di riaffermare il controllo di Tbilisi sulle due regioni nell’estate del 2008 – voluto dall’allora presidente Mikheil Saakashvili – determinò il 7 agosto una violenta reazione russa non solo nel respingere l’offensiva dell’esercito georgiano, ma portando anche all’invasione del resto del territorio nazionale con carri armati e incursioni aeree per cinque giorni. Da allora la Russia di Vladimir Putin riconosce l’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud e ha dislocato migliaia di soldati nei due territori per aumentare la propria sfera d’influenza nella regione della Ciscaucasia, in violazione degli accordi del 12 agosto 2008.