Bruxelles – Ursula von der Leyen si candida ufficialmente per un secondo mandato alla testa della Commissione europea. Un annuncio che non sorprende, perché da tempo la tedesca ha iniziato a lavorare per questo obiettivo. La vera questione è se ce la potrà fare, e l’impressione è che abbia le carte per farcela. Dopo un avvio un po’ stentato ha saputo gestire bene la pandemia di coronavirus, intessere legami continui e importanti con l’Ucraina dopo l’aggressione della Russia. Ha portato avanti la sua agenda di sostenibilità, forse in modo non proprio impeccabile, ma ha tracciato una rotta. La CDU crede in lei, e la sostiene, perché ritenuta adatta per profilo e ruolo.
Le incertezze iniziali
Ursula von der Leyen, oggi 65 anni, viene nominata per la testa della Commissione europea nel 2019, dopo che il presidente francese, Emmanuel Macron, ha fatto saltare il sistema dello ‘spitzenkandidat’, il candidato designato dai partiti politici europei per l’esecutivo comunitario. Il PPE aveva indicato Manfred Weber, oggetto di veti che aprono la strada a von der Leyen. Per molti un nome debole perché poco conosciuto e con meno esperienza di altri. Inciampa nel processo di nomina della sua squadra. Nel negoziare con i governi i nomi per i commissari, Romania e Ungheria producono personalità che il Parlamento respinge al mittente. Un incidente di percorso che costringe la nuova commissione a ritardare l’entrata in funzione, e per cui von der Leyen ha personali e oggettive responsabilità, avendo lei stessa condotto i negoziati con gli Stati membri.
La crisi pandemica
All’inizio del 2020 il Coronavirus si diffonde in Europa. E’ l’inizio della pandemia che permette a von der Leyen di dimostrare il suo valore. Nella situazione non semplice perché senza precedenti la Commissione risponde con misure senza precedenti, ultima delle quali la creazione di debito comune per far ripartire le economie dei Ventisette dopo il lockdown che di fatto fermano il tessuto produttivo. E’ la prima volta che l’UE produce strumenti di debito comune. NextGenerationEU, con il suo recovery Fund e una potenza finanziaria da 750 miliardi in aggiunta al bilancio comune.
Non solo. Di fronte alla crisi sanitaria, gli Stati membri cedono volontariamente sovranità in una materia di competenza squisitamente nazionale quale la sanità. La Commissione von der Leyen diventa responsabile per la gestione e la distribuzione di respiratori, materiale medico-sanitario, mascherine e, non da ultimo, la firma dei contratti con le case farmaceutiche per i vaccini anti-Covid.
Polemiche non mancano, ma alla fine von der Leyen esce dalla crisi con rinnovato consenso. E’ brava anche a far rientrare la crisi politica interna al PPE quando il suo portavoce capo, Eric Mamer, scarica sul commissario per il Commercio, Valdis Dombrovskis, alcune inefficienze in tema di vaccini. Sarà lei stessa ad assumersi la responsabilità, pubblicamente, pochi giorni dopo.
Sospensione del patto di stabilità
Di fronte alla necessitò di far ripartire l’economia, von der Leyen opta per la sospensione del patto di stabilità con i suoi limiti alla spesa pubblica. E allenta anche le maglie sugli aiuti di Stato. Decisioni anche qui senza precedenti. Lei, tedesca, sconfessa una parte del suo partito, la Cdu che fu di Angela Merkel e Wolfgang Schaeuble, e la rigidità tedesca sui conti. Ma permette all’Europa di rimettersi in moto e registrare un rimbalzo economico e occupazionale. Un superamento delle logiche di austerità che non fanno che accrescere il consenso attorno alla figura di von der Leyen. Il percorso di revisione delle regole porta a una nuova concezione delle stesse, che culmina con un nuovo patto, considerato più credibile e attuabile, a misure delle diverse situazioni. Una riforma che giunge a inizio 2024, in tempo utile prima dello scioglimento del Parlamento Ue.
La guerra russo-ucraina e le sanzioni
Il 24 febbraio 2022 la Russia attacca l’Ucraina. E’ una nuova crisi che von der Leyen si trova a dover gestire e a cui risponderà, nel corso dei mesi, con 11 pacchetti di sanzioni economiche mai viste. Lavora con l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE, Josep Borrel, agli Stati membri e ai partner del G7, a misure che di fatto isolano la Russia dal resto del mondo.
Von der Leyen dichiara guerra alla disinformazione russa, chiudendo il mercato unico ai media del Cremlino, di cui oscura una parte della narrativa. Si dimostra decisa, anche troppo. Promette l’adesione all’UE al presidente ucraino con una facilità per alcuni eccessiva. Un eccesso di leggerezza, si è contestato, per quanto dettato da circostanze, che diventa difficile da gestire. Il processo non è breve, è ricco di ostacoli, e potrebbe trovare l’opposizione di Stati membri in un allargamento basato sul principio dell’unanimità.
Il Green Deal, buone intenzioni ma non altrettanto le attuazioni
Del resto von der Leyen di eccesso di zelo pecca anche con il suo cavallo di battaglia, quel patto per la sostenibilità che le vale l’investitura del Parlamento europeo nel 2019. Tiene fede alla promessa e vara la maxi agenda per il passaggio alla green-economy, ma finisce con perdere il sostegno anche del suo partito per obiettivi e scadenze considerate eccessivamente onerose, in particolare per le imprese, ma anche per i cittadini. Von der Leyen spinge troppo sull’acceleratore della sostenibilità, scaricando sui cittadini e le famiglie gli oneri della riconversione delle case e delle auto. Anche la riforma del settore dell’automotive spacca Aula e Stati membri, certificando la crisi di fiducia per la presidente della Commissione europea.
Ci sono poi le questioni di sostenibilità. Il modo in cui è stato gestita l’agenda sostenibile diventa oggetto di riserve. Dal Parlamento europeo arriva un’analisi che avverte dei possibili effetti collaterali: l’UE rischia di aggravare la crisi idrica dei Paesi terzi oltre che accrescere ulteriormente la povertà. Von der Leyen risulta alla fine poco abile nell’attuazione della sua strategia di sostenibilità, forse per eccesso di foga.
Il lupo e l’UE a uso personale
Uno dei tratti che rischia di caratterizzare, in negativo, il mandato di von der Leyen, è la lotta al lupo dopo che un pony di sua proprietà viene ritrovato morto a seguito di un’aggressione subita proprio da un lupo. In fretta e furia la tedesca si affretta ad allargare le maglie per la caccia al predatore in tutta Europa, nonostante dal Parlamento arrivino le contestazioni per un censimento che richiede dei tempi che von der Leyen non intende attendere. Il suo problema diventa il problema di tutti, e von der Leyen è stata accusata di voler fare un uso personalistico dell’Unione europea. L’immagine del potere a servizio dei propri privilegi. Non una bella figura, che pur si consuma.
Gli strappi con Michel e la voglia di apparire
Il 9 aprile 2021 von der Leyen si reca in missione in Turchia assieme al presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Nella sala delle riunioni manca però una sedia. Qualcosa non ha funzionato nei sopralluoghi e nei lavori preparatori. Michel non cede il posto e da quel momento inizia una guerra tutta personale tra von der Leyen e Michel che vede la prima fare di tutto per non comparire mai con il secondo. Inizia una vera e proprio lotta a colpi di tweet, video, messaggi social per farsi vedere e ribadire il ruolo di protagonisti della scena politica a dodici stelle.
Dal 2021 in poi la legislatura di von der Leyen si caratterizza sempre di più per presenzialismo, evidente voglia di protagonismo, accentramento continuo delle iniziative. In Commissione nessuno sa niente perché lei inizia a non far filtrare nulla. La macchina si inceppa. La Commissione diventa Ursula von der Leyen. Derive tutt’altro che positive, delle quali molti nell’esecutivo dell’Unione si lamentano apertamente.
La crisi in Israele e la risposta scomposta
Il 7 ottobre 2024 Hamas attacca Israele con oltre tremila missili, che provano oltre 1.100 vittime. L’UE risponde in modo scoordinato. Il commissario per l’Allargamento, Oliver Varlhely, si affretta a dire che la Commissione Ue è pronta a sospendere i programmi dell’UE per i palestinesi. La Commissione deve fare retromarcia il giorno dopo, attraverso il portavoce capo, Eric Mamer, costretto ad ammettere che a Bruxelles si è agito in modo non coordinato. Von der Leyen non ci fa una bella figura.