Bruxelles – Francia, Germania, Grecia e Estonia hanno voltato le spalle agli oltre 28 milioni di cittadini europei che lavorano nella Gig Economy. Un’altra beffa sul traguardo per riders, drivers e tutte le vittime del fenomeno del lavoro autonomo fittizio. Ad accordo già raggiunto nei triloghi tra Parlamento europeo e Consiglio dell’Ue, per la seconda volta una minoranza di blocco di quattro Paesi membri ferma la direttiva Ue sui diritti dei lavoratori digitali.
“Una decisione incomprensibile. Il Parlamento europeo ha una maggioranza larghissima e approverà il testo in prima lettura mentre i governi si prenderanno le proprie responsabilità”, ha dichiarato l’eurodeputata del Partito Democratico, Elisabetta Gualmini, relatrice della proposta di legge per l’Eurocamera. Lo scenario ora infatti si complica: con le elezioni europee alle porte, con ogni probabilità non ci sarà il tempo per un terzo trilogo. Ma il Parlamento europeo può riuscire ad assicurare la propria posizione riadottando il testo in prima lettura, per poi lasciarlo in mano alla prossima legislatura.
Resta il fatto che, dopo la prima fumata nera natalizia, il Consiglio dell’Ue ha affossato un testo assai meno ambizioso, nuovamente a giochi già fatti. Anche se, rispetto ai 12 Paesi membri che si erano opposti al primo accordo, la minoranza di blocco che ha impedito oggi (16 febbraio) l’adozione della direttiva è stata molto più risicata. In sostanza, era tutto nelle mani dell’Estonia, visto che Francia, Germania e Grecia avevano già annunciato di volersi opporre. E alla fine il governo di Tallin ha deciso di fare il gioco delle piattaforme digitali.
Il compromesso trovato l’8 febbraio dalla presidenza belga del Consiglio dell’Ue ridimensionava già parecchio la proposta originaria: l’elemento più controverso uscito dal primo trilogo erano infatti i 5 indicatori scelti, di cui almeno due obbligatori, perché potesse scattare la presunzione di rapporto di lavoro subordinato. Questo vincolo era stato eliminato: pur mantenendo la presunzione di rapporto subordinato per mettere fine al lavoro autonomo fittizio, questo sarebbe dovuto scattare alla presenza di “fatti indicanti controllo e direzione, secondo la normativa nazionale e i contratti collettivi vigenti“. Niente criteri armonizzati tra i Paesi membri, ma l’obbligo per i governi nazionali di “stabilire una presunzione legale relativa dell’occupazione a livello nazionale”.
Niente da fare per i 5,5 milioni di lavoratori delle piattaforme digitali che secondo le stime Ue sarebbero erroneamente classificati come autonomi nei 27 Paesi membri. E che subiscono di conseguenza la negazione dei diritti lavorativi e sociali: salario minimo (dove esiste), contrattazione collettiva, orario di lavoro, protezione della salute e contro gli incidenti di lavoro, ferie pagate, disoccupazione, malattia e pensione di vecchiaia.