Bruxelles – È scomparsa da mesi dalle cronache dei quotidiani europei, ma la crisi tra Armenia e Azerbaigian non si è mai risolta dopo l’azione militare improvvisa e durissima dell’esercito azero nella regione del Nagorno-Karabakh condotta in un solo giorno tra il 19 e il 20 settembre 2023. Questa mattina (13 febbraio) quattro soldati armeni sono stati uccisi in uno scontro a fuoco con le forze di Baku lungo il confine, a seguito degli spari di ieri (12 febbraio) dalla parte armena denunciati dall’Azerbaigian ma non confermati da Yerevan. Si rischia, ancora una volta, un’escalation di tensione che non favorisce la stabilizzazione del Caucaso meridionale e nemmeno gli sforzi incessanti dell’Unione Europea di spingere il processo di pace tra due Paesi in guerra – combattuta o congelata – da oltre 20 anni.
“Abbiamo discusso della situazione regionale e del processo di normalizzazione tra Armenia e Azerbaigian, compresi gli ultimi incidenti di confine”, ha reso noto l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, in conferenza stampa con il ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan, al termine della quinta riunione del Consiglio di partenariato Ue-Armenia: “Gli spari sui soldati azeri sono deplorevoli, ma la risposta sembra essere sproporzionata“. Mentre da parte di Yerevan sono state confermate “investigazioni” su quanto accaduto ieri, a Bruxelles non viene meno l’impegno “pieno” dell’Unione per una pace “sostenibile e duratura, basata sulla sovranità, sull’inviolabilità dei confini e sull’integrità territoriale”, ha ribadito con forza Borrell. A seguito della “pulizia etnica” nell’ex-enclave armena in Azerbaigian – come l’ha ricordata il ministro Mirzoyan, secondo la linea condivisa dal Parlamento Ue – l’Unione ha non solo rafforzato la missione Ue in Armenia, ma ha anche stanziato proprio oggi “5,5 milioni di euro aggiuntivi in aiuti umanitari” per supportare gli sfollati dal Nagorno-Karabakh, “che si aggiungono ai 12,2 milioni già forniti a settembre“.
L’incidente di questa mattina – che Baku definisce esplicitamente una “operazione di vendetta” – nella regione meridionale di Syunik è il più grave da quando l’Azerbaigian ha ripreso il Nagorno-Karabakh, provocando l’esodo della popolazione di etnia armena verso Yerevan (oltre 100 mila profughi riversatisi in un Paese di 2,8 milioni di abitanti). Da mesi non hanno fatto progressi i contatti tra Bruxelles, Yerevan e Baku per arrivare a quell’accordo di pace generale che il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, dall’Aula di Strasburgo aveva prospettato per fine 2023 se solo il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, avesse deciso di non ostacolare più il processo come fatto al terzo vertice della Comunità Politica Europea del 5 ottobre scorso in Spagna (quando ha disertato il quintetto con il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e il presidente francese, Emmanuel Macron).
Di fronte a queste difficoltà proseguono però i lavori per un avvicinamento all’Ue da parte dell’Armenia, rimasta politicamente e diplomaticamente scottata dal “tradimento” dello storico alleato russo nelle vicende belliche autunnali in Nagorno-Karabakh (dove le truppe di peacekeeping di Mosca non hanno preso alcuna iniziativa contro l’esercito azero). “Sappiamo che c’è spazio per sviluppare il potenziale di questo accordo, dopo che da ottobre avete deciso di lavorare per avvicinarvi all’Unione”, ha sottolineato Borrell, spiegando che “abbiamo esplorato le modalità per rafforzare i rapporti”. In particolare “abbiamo deciso di lanciare i lavori su una nuova agenda ambiziosa per il partenariato“, che “manda un messaggio forte e fornisce una tabella di marcia all’intera regione”, tra cui anche la possibilità della liberalizzazione dei visti Schengen per i cittadini armeni: “Da parte vostra c’è forte interesse, vi incoraggio a rafforzare le riforme per fare progressi in questa direzione”, è l’esortazione dell’alto rappresentante Ue.
Il conflitto tra Armenia e Azerbaigian
Tra Armenia e Azerbaigian è dal 1992 che va avanti una guerra congelata, con scoppi di violenze armate ricorrenti incentrate nella regione separatista del Nagorno-Karabakh. Il più grave degli ultimi anni è stato quello dell’ottobre del 2020: in sei settimane di conflitto erano morti quasi 7 mila civili, prima del cessate il fuoco che ha imposto all’Armenia la cessione di ampie porzioni di territorio nel Nagorno-Karabakh. Dopo un anno e mezzo la situazione è tornata a scaldarsi a causa di alcune sparatorie alla frontiera a fine maggio 2022, proseguite parallelamente ai colloqui di alto livello stimolati dal presidente del Consiglio Ue, fino alla ripresa delle ostilità tra Armenia e Azerbaigian a settembre, con reciproche accuse di bombardamenti alle infrastrutture militari e sconfinamenti di truppe di terra.
La mancanza di un monitoraggio diretto della situazione sul campo da parte della Russia – che fino allo scoppio della guerra in Ucraina era il principale mediatore internazionale – ha portato alla decisione di implementare una missione Ue, con 40 esperti dispiegati lungo il lato armeno del confine fino al 19 dicembre 2022. Una settimana prima della fine della missione l’Azerbaigian ha però bloccato in modo informale – attraverso la presenza di pseudo-attivisti ambientalisti armati – il corridoio di Lachin, mettendo in atto forti limitazioni del transito di beni essenziali come cibo e farmaci, gas e acqua potabile. Il 23 gennaio 2023 è arrivata la decisione del Consiglio dell’Ue di istituire la missione civile dell’Unione Europea in Armenia (Euma) nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, ma la tensione è tornata a crescere il 23 aprile dopo la decisione di Baku di formalizzare la chiusura del collegamento strategico attraverso un posto di blocco. Da Bruxelles è arrivata la condanna dell’alto rappresentate Ue Borrell, prima della ripresa delle discussioni a maggio e un nuovo round di negoziati di alto livello il 15 luglio tra Michel, il primo ministro armeno Pashinyan e il presidente azero Aliyev.
L’alternarsi di sforzi diplomatici e tensioni sul campo ha messo in pericolo anche gli osservatori Ue presenti dal 20 febbraio 2023 in Armenia per contribuire alla stabilità nelle zone di confine. Il 15 agosto una pattuglia della missione Euma è rimasta coinvolta in una sparatoria dai contorni non meglio definiti (entrambe le parti, armena e azera, si sono accusate a vicenda), senza nessun ferito. Solo un mese più tardi è sembrato che la situazione potesse pian piano stabilizzarsi, con il passaggio del primo convoglio con aiuti internazionali il 12 settembre attraverso la rotta Ağdam-Askeran e poi lo sblocco del corridoio di Lachin il 18 settembre dopo quasi nove mesi di crisi umanitaria. Neanche 24 ore dopo sono però iniziati i bombardamenti azeri contro l’enclave separatista che – per la sproporzione di forze in campo – ha determinato il cessate il fuoco e la resa fulminea dei militari di Stepanakert, con la presa totale del controllo da parte dei soldati di Baku.