Bruxelles – Idrogeno, ovvero l’insostenibile sostenibilità dell’Unione europea. La politica di sicurezza energetica, unita alla necessità di affrancarsi dai combustibili fossili responsabili di inquinamento ed emissioni a gas serra rischia di produrre effetti indesiderati con ricadute non solo di natura ambientale, ma pure sociale. Perché chiedere ai Paesi terzi di produrre quell’H2 di cui l’Ue avverte la necessità implica aggravare una situazione già di per sé precaria soprattutto per quanto riguarda la sicurezza idrica.
A porre l’accento su un’azione a dodici stelle presa “frettolosamente in seguito all’invasione russa dell’Ucraina” è Transport & Environment (T&E), l’ombrello di organizzazioni non governative per il trasporto sostenibile, attraverso uno studio dedicato alle politiche per l’idrogeno.
L’UE si sta rivolgendo principalmente a sei Paesi per le sue necessità tra Europa (Norvegia), sud America (Cile), Africa (Egitto, Marocco e Namibia) e Medio Oriente (Oman). In questa sua ricerca di partner l’EU sta però producendo effetti collaterali di vasta portata. Soprattutto per quanto riguarda l’accesso all’acqua. Per produrre le 2,6 milioni di tonnellate di H2 che si prevede di esportare nell’UE nel 2030, “sarebbero necessari tra 55 e 80 milioni di tonnellate di acqua, l’equivalente di 32mila piscine olimpioniche ogni anno”. Per cui, sottolinea il documento, tutti i paesi esaminati, tranne la Norvegia, “si troveranno ad affrontare una significativa scarsità d’acqua nei decenni a venire”.
Questo perché “mentre l’acqua necessaria per la produzione di H2 appare relativamente bassa rispetto agli attuali usi idrici nei Paesi selezionati”, tale ulteriore consumo di acqua “avverrebbe in un contesto in cui si trova la maggior parte dei paesi studiati affrontano sempre più problemi di scarsità idrica”. Nello specifico questi Paesi “già soffrono degli effetti del cambiamento climatico, come la mega-siccità in Cile, i bassi tassi di ricarica in Marocco e l’intrusione di acqua di mare in Oman”.
Chiedere a questi Paesi di attingere all’acqua sempre meno disponibile ha anche delle ripercussioni pratiche, che si traducono in uomini e donne in marcia alla ricerca di risorse di base sempre più rare. In altre parole: nuovi flussi migratori, con tutte le implicazioni politiche del caso per un’Europa poco incline all’accoglienza. L’Unione europea, con le sue azioni, rischia di aggravare un fenomeno, quello dei rifugiati climatici, già molto presente nel dibattito politico e oggetto di studi.
Quello prodotto per T&E, di studio, ipotizza il ricorso alla desalinizzazione. Rendere l’acqua di mare dolce così da evitare di attingere a risorse idriche potabili è certamente un’opzione, non priva però di incognite. Intanto gli impianti di desalinizzazione sono energivori, richiedono cioè un grande consumo. Inoltre la tecnologia in questione “potrebbe affrontare sfide ambientali se residui di salamoia venissero rilasciati nell’oceano, esercitando pressione sulla biodiversità e quindi delle popolazioni locali”.
La via delle importazioni da questi Paese non sembra dunque una scelta sostenibile, né dal punto di vista ambientale né dal punto di vista socio-economico. Tanto più che l’UE, in questo momento, non sembra avere una reale necessità dei partner oggetto di studio. “L’Europa potrebbe produrre tra i 6 e i 7,5 milioni di tonnellate di idrogeno rinnovabile entro il 2030 a livello nazionale”, rileva il documento d’analisi realizzato per conto di Transport & Environment (T&E). Concentrare azioni e politiche per la produzione nell’UE “sarebbe sufficiente a soddisfare i bisogni del continente se si limitassero le forniture di idrogeno e di carburanti elettronici a settori che hanno poche altre alternative come il trasporto marittimo, l’aviazione e i fertilizzanti”.
Geert Decock, responsabile Elettricità ed energia presso T&E avverte: “Un confronto con la realtà è quanto mai necessario”. Si sta insistendo troppo su un’opzione di politica economica e industriale che non è sostenibile alle attuali condizioni: “La maggior parte dei paesi da cui l’Europa fa affidamento per le importazioni non sono affatto pronti ad aumentare la produzione”.