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    Home » Economia » Patto di stabilità, c’è l’accordo: entro settembre i piani nazionali di rientro dal debito

    Patto di stabilità, c’è l’accordo: entro settembre i piani nazionali di rientro dal debito

    Parlamento e Consiglio trovano l'intesa nella notte. Invariate le soglie di riduzione di debito e deficit, confinanziamento nazionale per programmi UE esclusi dai calcoli di disavanzo

    Emanuele Bonini</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/emanuelebonini" target="_blank">emanuelebonini</a> di Emanuele Bonini emanuelebonini
    10 Febbraio 2024
    in Economia

    Bruxelles – UE, ‘sì’, al nuovo patto di stabilità e crescita. Consiglio e Parlamento trovano l’accordo sulle nuove regole comuni di bilancio al termine di un negoziato fiume, concluso nella notte al termine di una maratona di oltre 12 ore. L’impianto di base, non cambia. Le soglie numeriche di riduzione degli squilibri non sono toccate dall’accordo inter-istituzionale, che produce maggiore flessibilità in materia di investimenti escludendo la quota-parte nazionale dei programmi di finanziamento dell’Unione europea dal computo di deficit e debito.

    Riduzioni forzate, l’Italia deve ridurre dell’1 per cento l’anno

    Le soglie di riferimento classiche non cambiano. Restano i tetti del 3 per cento nel rapporto deficit/Prodotto interno lordo e del 60 per cento nel rapporto debito/PIL perché incardinate nei trattati sul funzionamento dell’UE. Cambia però il modo di considerarle. Al fine di garantire consolidamento di bilancio i Paesi con un rapporto debito/Pil superiore al 90 per cento dovranno ridurre ogni anno questo rapporto dell’1 per cento, mentre per i Paesi con un deficit/Pil tra il 60 per cento e il 90 per cento dovranno tagliarlo di uno 0,5 per cento l’anno. L’Italia dovrà dunque ridurre di un punto percentuale l’anno il proprio debito, al pari di Belgio, Francia, Grecia, Portogallo, Spagna. Confermata dunque la linea dura di Scholz, che già in tempi non sospetti aveva fissato questo obiettivo.

    Non solo. Come tutti l’Italia dovrà ridurre anche il deficit, perché passa l’altra cosiddetta salvaguardia, che prevede di creare margini di spesa preventivi. L’accordo prevede che anche chi non sfora il tetto del 3 per cento deficit/PIL debba comunque ridurlo, per creare uno spazio dell’1,5 per cento così da essere pronti in caso di shock, senza dover mettere sotto pressione i conti.

    Piano di riduzione a quattro o sette anni

    Il periodo di consolidamento viene fissato in quattro anni, con piani che ogni Stato membro dovrà presentare entro il 20 settembre 2024. Questa traiettoria di rientro potrà essere però estesa fino a un massimo di sette anni, previa richiesta da parte gli Stati membri. La concessione di più tempo per ridurre il debito è condizionata a un piano di riforme e investimenti atti a migliorare potenziale di crescita e capacità di resistenza agli shock. Riforme e investimenti, nello specifico devono affrontano le priorità comuni dell’UE, vale a dire transizione verde e digitale, sicurezza energetica, rafforzamento della competitività, “e, ove necessario, lo sviluppo di capacità di difesa”. I governi, nel presentare i loro piani, dovranno spiegare come saranno effettuati gli investimenti nei settori prioritari dell’UE delle transizioni climatiche e digitali, della sicurezza energetica e della difesa.

    Se i punti principali del nuovo patto di stabilità sono uguali per tutti, diversi e differenziati saranno i percorsi di riforma e le raccomandazioni, tagliate su misura degli Stati membri a seconda della rispettiva situazione.

    Co-finanziamenti nazionali non calcolati nella spesa

    Il principale elemento di novità è rappresentato dalla spesa pubblica nazionale che accompagna il sostegno dei programmi dell’Unione europea. Che si tratta di ricerca o coesione, l’UE contribuisce solo parzialmente alla realizzazione di interventi. E’ questo il co-finanziamento, vale a dire una ripartizione dei costi tra Unione e governi nazionali. In base all’accordo tra Consiglio e Parlamento  le spese nazionali per il cofinanziamento dei programmi finanziati dall’UE saranno escluse dalle spese di un governo, creando maggiori incentivi agli investimenti. E’ questo un punto che ha visto attrito tra i principali gruppi parlamentari, con i socialdemocratici che portano a casa questa condizione di scomputo dai calcoli di deficit e debito a favore.

    Scostamenti per circostanze eccezionali

    Fermo restando i piani di rientro del debito e la creazione di spazio fiscale, si riconosce la possibilità di eventualità negative che possono mettere in discussione il percorso di riforme.  Su richiesta di uno Stato membro, il Consiglio può concedere il permesso di discostarsi dal percorso di spesa in caso di circostanze eccezionali al di fuori del suo controllo che portano a un impatto importante sulle sue finanze pubbliche. La proroga minima è di un anno, ma può essere estesa, anche più di una volta, se tali circostanze eccezionali persistono. Una proroga sarebbe di un massimo di un anno e può essere concessa più di una volta.

    Multe per chi non fa i compiti a casa

    Come garanzia dell’affidabilità dei governi nel percorso di riforme viene inasprita la procedura per debito eccessivo, che verrà resa più effettiva. Finora multe, per quanto previste, non sono mai state comminate. La Commissione intende ridurre gli importi delle multe, ma comminarne di più. Per questo è stato previsto che in caso di scostamenti o impegni di riduzione insufficienti possano essere applicate sanzioni pari allo 0,05 per cento del Pil nazionale ogni sei mesi, per multe eventuali quindi pari allo 0,1 per cento di Pil all’anno (invece di un deposito infruttifero fino allo 0,5 per cento del PIL, come previsto finora) .

    Le reazioni

    La presidenza belga di turno esulta. Vincent van Peteghem, ministro delle Finanze belga, saluta con soddisfazione quello che considera “un accordo equilibrato che ora consentirà una rapida attuazione” . Dal trilogo escono nuove norme che “miglioreranno significativamente il quadro esistente e garantiranno norme efficaci e applicabili per tutti i paesi dell’UE”. Allo stesso tempo, continua, le norme del nuovo patto di stabilità “salvaguarderanno le finanze pubbliche equilibrate e sostenibili, rafforzeranno l’attenzione sulle riforme strutturali e favoriranno gli investimenti, la crescita e la creazione di posti di lavoro in tutta l’UE”.

    Esther De Lange (PPE), tra i responsabili del Parlamento per il dossier, tira un sospiro di sollievo. “Era necessario un nuovo quadro di governance economica”, e il risultato finale sono regole “solide e credibili”. Margarida Marques (S&D), altra correlatrice del file legislativo sottolinea i risultati ottenuti in termini di spesa. “Le nuove regole forniranno più spazio agli investimenti, flessibilità per gli Stati membri per facilitare i loro aggiustamenti e rafforzeranno la dimensione sociale”. Inoltre, continua, “con un approccio caso per caso e a medio termine, insieme all’aumento della proprietà, gli Stati membri saranno meglio attrezzati per prevenire le politiche di austerità”.

    Tutt’altro che convinto il gruppo de laSinistra, che invece attacca per risultati considerati come controproducenti. “L’austerità è tornata e sappiamo chi ha firmato l’accordo”, il commento di José Gusmão. “I negoziati hanno portato a regole più severe sul deficit, a un controllo più restrittivo sulla spesa pubblica degli Stati membri”, denuncia. Critica anche la delegazione del Movimento 5 Stelle: “I nuovi parametri spingeranno non solo l’Italia, ma l’intero Continente, in recessione perché ridurranno gli investimenti”. I pentastellati avvertono: “Secondo alcune stime questi obiettivi peseranno sulla capacità di spesa del nostro Paese per 12-13 miliardi per sette anni”. Mario Furore rincara la dose: ” Meloni, Salvini e Tajani spieghino pubblicamente se voteranno questo ‘Pacco di Stabilità’ che impone 13 miliardi di tagli l’anno prima del voto finale al Parlamento europeo.

    Tags: conti pubblicidebitodeficitinvestimentiPatto di stabilitàriformeue

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