Bruxelles – A pochi metri dal traguardo, la direttiva Ue sulla due diligence in materia di sostenibilità aziendale viene richiamata ai box. L’ultimo passaggio, previsto oggi (9 febbraio) con il voto per l’adozione formale del regolamento da parte dei Paesi membri, è saltato a causa dell’ostruzione della Germania e – come si apprende da fonti diplomatiche – dell’Italia.
Le nuove norme, proposte dalla Commissione europea a febbraio 2022, avevano completato il lungo iter comunitario con l’accordo dello scorso 14 dicembre nei triloghi interistituzionali. Ma il dietrofront annunciato da Berlino, che deve mantenere un complicato gioco di equilibri nella coalizione di governo tra verdi, socialisti e liberali, ha aperto lo scenario di una possibile minoranza di blocco nel voto a maggioranza qualificata previsto al Comitato dei Rappresentanti permanenti (Coreper) per l’adozione dei testi legislativi.
Bastano quattro Paesi membri che non votano a favore, perché una direttiva torni al passaggio precedente, quello dei negoziati con l’Eurocamera. La presidenza belga del Consiglio dell’Ue, dopo aver appurato che anche l’Italia aveva l’intenzione, astenendosi, di accodarsi alla Germania – oltre ad altri Paesi come Austria e Finlandia-, ha preferito non procedere al voto e rinviarlo a data da destinarsi, prendendosi il tempo di tentare un’ulteriore opera di convincimento.
Non è la prima volta che un testo approvato ai triloghi salta alla prova del nove in Consiglio: era successo anche con il regolamento sulle emissioni degli autoveicoli, bloccato sempre da Berlino, e sempre su input dei Liberali della Fdp. I Verdi tedeschi “avrebbero votato a favore”, ma “siamo costretti ad astenerci a causa delle nostre regole governative interne“, aveva ammesso in mattinata il segretario di Stato all’Economia e al Clima tedesco Sven Giegold.
La direttiva: mitigare l’impatto su diritti umani e ambiente “da monte a valle”
La direttiva, così come era uscita dalle trattative interistituzionali, avrebbe stabilito una serie di obblighi per le aziende che operano nell’Ue in modo da mitigare il loro impatto negativo sui diritti umani e sull’ambiente. Lavoro minorile, schiavitù, sfruttamento del lavoro, inquinamento, deforestazione, consumo eccessivo di acqua o danni agli ecosistemi: tutte le imprese con oltre 500 dipendenti e un fatturato mondiale superiore a 150 milioni di euro non avrebbero più potuto chiudere un occhio sul mancato rispetto di vincoli etici e ambientali su tutta la catena di approvvigionamento. Le aziende avrebbero infatti dovuto “identificare, valutare, prevenire, mitigare, porre rimedio al proprio impatto negativo e a quello dei propri partner a monte e a valle”: produzione, fornitura, trasporto e stoccaggio, progettazione e distribuzione.
Le stesse norme sarebbero valse per le medie imprese – con più di 250 dipendenti e un fatturato superiore a 40 milioni di euro – nei settori della produzione e commercio all’ingrosso di prodotti tessili, abbigliamento e calzature, agricoltura, silvicoltura e pesca, produzione di alimenti e commercio di materie prime agricole, estrazione e commercio all’ingrosso di risorse minerarie o fabbricazione di prodotti correlati e edilizia.
L’Eurocamera aveva previsto alcuni benefici per le aziende con più di mille dipendenti che avessero attuato pienamente la direttiva. Per motivare le imprese, il rispetto degli obblighi di due diligence avrebbe fatto parte dei criteri di aggiudicazione di appalti pubblici e concessioni, mentre tutti i Paesi membri avrebbero dovuto designare un’autorità di vigilanza per monitorare il rispetto delle norme. Organismi con la facoltà di avviare indagini e imporre sanzioni alle aziende non conformi, con multe fino al 5 per cento del loro fatturato netto mondiale.
Le grandi associazioni industriali europee, come la BDI in Germania, il Medef in Francia e Confindustria in Italia si erano schierate duramente contro il testo: Stefan Pan, delegato di Confindustria per l’Europa e vicepresidente di Business Europe, prima della riunione di oggi si era appellato al governo italiano per astenersi “in modo da consentire il riavvio dei negoziati”. La direttiva, “macchinosa e ingestibile”, avrebbe comportato carichi burocratici enormi “sulle imprese e sulla competitività europea”. D’altra parte, la Confederazione Europea dei Sindacati (Ces) aveva definito la votazione di oggi un “momento cruciale” per assicurare “parità di condizioni per le imprese, garantendo il rispetto dei diritti umani e dell’ambiente all’interno delle catene di approvvigionamento”.