E’ stato un dibattito molto tecnico, riservato a veri esperti, che si è svolto quasi in sordina nei giorni scorsi al parlamento europeo. Ma il tema dei “nuovi ogm” o dei “non ogm per definizione”, insomma le nuove tecniche genomiche per l’agricoltura è riuscito a spaccare l’Aula di Strasburgo a metà, causando profonde divisioni anche all’interno di molti gruppi, dal centrosinistra alla destra.
Come abbiamo riportato ieri nella nostra cronaca, si sono espressi a favore del testo in modo compatto gli eurodeputati dell’estrema destra di Identità e Democrazia (con la Lega), e poi quasi unito il Ppe (una trentina di contrari, soprattutto polacchi, e una decina di astenuti) e i Liberali di Renew (con cinque contrari e 14 astenuti), mentre si sono spaccati a metà i Conservatori dell’Ecr (con 29 favorevoli, tra cui gli italiani di Fdi, 31 contrari e un astenuto) e il gruppo dei Socialisti e Democratici (55 a favore, 71 contrari e due astenuti). Diviso anche il Pd: Bresso, De Castro, Gualmini, Picierno, Rondinelli e Variati si sono espressi a favore, mentre Bartolo, Benifei (il capodelegazione), Covassi, Laureti, Moretti, Pisapia e Smeriglio hanno votato contro. Tra i contrari, i gruppi dei Verdi e della Sinistra, e la delegazione del M5s.
Siamo scesi così nel dettaglio dei voti perché qui il nodo centrale non è nella disputa se queste modifiche possono o no essere dannose per la salute umana (tema, ovviamente di primaria rilevanza) ma è su come l’industria alimentare dell’Unione (dalla coltivazione, alla trasformazione, alla vendita) deve affrontare il futuro, preservando il principio della sicurezza alimentare e della sicurezza sanitaria. Il punto è il “principio di precauzione” che è nella Legge fondamentale dell’Unione europea, che ha una ragion d’essere, ma che può diventare un vincolo allo sviluppo.
Quel che dobbiamo decidere è se vogliamo sfidare il resto del mondo nella produzione agricola o se rischiare di restare indietro nella ricerca e dunque nella produzione, mettendo a rischio la sicurezza alimentare del Continente.
Dobbiamo decidere dove mettere il paletto insomma: alla ricerca, alla coltivazione, alla messa in commercio, al consumo?
La battaglia di ieri in Parlamento si è concentrata sul fatto se queste nuove coltivazioni sono “ogm” o no, dividendosi tra esegeti dei testi legislativi che per una metà hanno detto di sì e per un’altra metà hanno detto di no, spiegando, ognuno con solide ragioni, due tesi opposte. Però il tema dell’innovazione è rimasto piuttosto nascosto, ma è quello il nodo. Come vogliamo garantirci di non essere surclassati da produzioni che nel resto del mondo si sviluppano con molti meno vincoli, inondando i mercati, ma nel contempo mantenendo la garanzia per i consumatori che ciò che mangiano (o che mangeranno) è sano, o per lo meno non è dannoso per la salute?
La risposta è complicata, quanto avvenuto ieri lo dimostra, ma probabilmente va cercata in uno spostamento in avanti del principio di precauzione, trovando un modo che consenta un robusto sviluppo della ricerca e della capacità produttiva, combinati con le esigenze sanitarie. Il che probabilmente significa uscire dal vincolo legislativo posto alla fonte mettendolo un po’ più avanti, accettando nuove definizioni che l’evoluzione della ricerca e delle esigenze impongono.