Il Tempo è il sostrato del pensiero, dalle origini greche alla fisica quantistica. La parabola del Tempo ha un andamento singolare: dall’uomo del mito, prefilosofico, che si percepisce eterno come i suoi dei, si giunge, dopo un paio di millenni, all’equazione di Wheeler-De Vitt, che sancisce l’inesistenza del tempo come variabile fisica.
All’apparire del pensiero filosofico il Tempo viene associato al Divenire, all’eterno oscillare fra il nulla da cui si proviene al nulla cui si giunge, e fa emergere l’angoscia della morte. Solo Parmenide concepirà per primo l’Essere come unica realtà eterna ed il Nulla come inconcepibile, inesistente, tanto da identificare il Divenire del mondo come semplice apparenza. Su questo, il “padre venerando e terribile” della filosofia sarà criticato da Platone, che “salverà” il Divenire, distinguendo l’Essere Eterno del mondo delle Idee dall’Essere mutevole (dunque soggetto alla morte, al Nulla) delle cose del mondo.
Lo stesso Aristotele, nel IV libro della Metafisica, collegherà lo stesso principio di non contraddizione alla temporalità delle cose: qualcosa non può essere e non essere allo stesso tempo e nello stesso rispetto, fin quando (e qui entra il gioco il tempo) quel qualcosa esiste.
Qualche secolo dopo un Padre della Chiesa, Sant’Agostino, parlerà del Cristo come dell’Eterno che si cala nel tempo, di fatto confermando la dicotomia platonica fra l’Essere Eterno delle Idee e la caducità temporale del mondo.
Con Kant e la sua “rivoluzione copernicana” della filosofia, il Tempo e lo Spazio, in quanto forme a priori dell’intelletto, divengono per l’appunto elementi costitutivi della nostra stessa possibilità di percepire il mondo: non posso cioè fare esperienza di nulla se il mio cervello non custodisce quei concetti in sé, a priori. Oltre Hegel (il tempo è la forma a priori della sensibilità), Nietzsche, dopo aver affermato la morte di ogni Eterno, dunque di Dio, concepirà l’Eterno ritorno dell’Eguale, un Tempo infinito, circolare, in cui ogni avvenimento è destinato a ripetersi all’infinito.
Heidegger, da par suo, vedrà il Tempo nell’accezione di Futuro, tanto da individuare nella morte (il massimo del futuro per ognuno) l’atto definitivo, ma al tempo stesso decisivo dell’esistenza. Con Emanuele Severino assistiamo ad una nuova rivoluzione copernicana della filosofia: dopo Parmenide l’Essere viene concepito come Eternità di ogni essente, in carne ed ossa, e il Divenire è concepito non come l’oscillare fra il nulla ed il nulla ma come l’apparire di Eterni, destinati ad essere conservati nello Sfondo Eterno dell’Apparire. Tutto è Eterno, dunque, l’Uomo è eterno, è un re senza sapere di esserlo.
Nel frattempo, i giganti della fisica moderna ricostruivano anch’essi la parabola del Tempo: dal Tempo lineare di Newton, allo Spazio- Tempo di Einstein, al Tempo quantistico, dove le particelle elementari sono in grado di invertire la freccia del tempo. Nello sforzo immane di unificazione della Fisica, cioè la ricerca di un sistema di equazioni che contenga in sé le acquisizioni della relatività einsteiniana e della fisica dei quanti, irrompe la celebre equazione di Wheeler-De Vitt, che ottiene questo fondamentale risultato eliminando dall’equazione proprio la variabile Tempo. Siamo dunque tornati, per paradosso, all’uomo del mito, al Mondo senza Tempo, ciò che porta con sé, inevitabilmente, una domanda, o forse un auspicio: se il Tempo non esiste, forse il nostro passaggio nel mondo non è così effimero.