Bruxelles – Può essere la chiave del futuro. La vita di tutti i giorni in connessione perenne senza fili, e prestazioni di alto livello. In sintesi: il 6G. Non solo internet velocissimo. Il 6G mira a ampliare i confini della connettività, consentendo innovazioni come la comunicazione olografica, la realtà estesa senza soluzione di continuità e l’integrazione dell’intelligenza artificiale (AI) su vasta scala. Con l’avvicinarsi del 2030, si stanno gettando le basi per la prossima frontiera delle comunicazioni mobili, che può anche rispondere alle esigenze di innovazione e sostenibili proprie della doppia transizione verde e digitale incardinate nel Green Deal.
Ma l’Europa appare in ritardo, e deve fare di più se non vuole perdere la corsa del futuro, su cui la Cina ha già iniziato a investire. Le potenzialità ci sono, ma non l’attenzione politica e di investimenti, come rileva il documento di lavoro del Parlamento europeo redatto dal centro ricerca dell’istituzione, e dedicato al tema.
Le tecnologie 6G per internet e comunicazione ancora più veloci hanno il potenziale di rendere l’economia più sostenibile, riducendo l’impatto ambientale e controbilanciando il surriscaldamento del pianeta. Da questo punto di vista si riconosce il potenziale ‘green’ delle reti 6G per telecomunicazioni e internet ultra-veloce. “Potrebbero minimizzare il loro impatto ambientale”, grazie a una serie di strategie quali “soluzioni intelligenti” oltre a “uso di energie rinnovabili, sottolineano gli analisti del Parlamento Ue. E’ vero che il tecnologie e servizi del settore dell’Ict “sono parte del riscaldamento globale”, tuttavia “allo stesso tempo ha il potenziale per ridurre le emissioni” di gas a effetto serra “per altri settori dell’economia”.
Del resto, già con le tecnologie di oggi, ci si attende che il solo 5G possa contribuire a ridurre fino al 15 per cento delle emissioni globali di emissioni di gas a effetto serra entro il 2030, mentre dal punto dei vista dei consumi ci si attende che il 6G possa permettere di tagliare l’utilizzo di energia di circa la metà rispetto alle esigenze del 5G. Obiettivi potenziali non indifferenti, considerando che le tecnologie per l’informazione e la comunicazione sono responsabili tra il 5 per cento e il 9 per cento dell’utilizzo globale di energia elettrica, e per circa il 2,5 per cento delle emissioni di gas serra. Numeri che si attendono in crescita, data la diminuzione delle persone senza accesso a internet e la domanda crescente di nuovi servizi connessi alle reti e interconnessi tra loro.
Il 6G può fare la differenza, ma rischia di non essere etichettata ‘made in EU’. L’Unione europea sconta ritardi politici, di programmazione, di investimenti. In quella che viene considerata una vera a propria “corsa” alle tecnologie di nuova generazione, i Ventisette rischiano di restare indietro a vantaggio dell’Asia. Ci sono soprattutto Corea del Sud e Cina a giocare con determinazione questa partita. La prima è tradizionalmente ‘amica’ dell’Ue e dell’occidente, la seconda meno, come dimostrano concorrenza e scontri sulle tecnologie di oggi, il 5G.
Seul sta spingendo “per posizionarsi come leader nelle tecnologie 6G, ottenendo un peso dominante nei brevetti internazionali”. Pechino, allo stesso tempo, “sta potenziando la sua ricerca nelle reti 6G” e allo stato attuale “circa la metà di tutte le richieste mondiali di brevetto” sarebbero cinesi. Un promemoria per spingere a fare di più. In nome di competitività, sostenibilità e autonomia strategica.
Per l’Unione europea decisa a cambiare le regole del gioco in salsa verde e innovativa, “bilanciare il progresso tecnologico con le considerazioni ambientali rimane un obiettivo chiave per lo sviluppo del 6G”, avverte il documento. Ma serve una politica decisa. “Si prevede che i paesi e le aziende leader nello sviluppo e nell’implementazione del 6G otterranno un vantaggio competitivo in termini di innovazione tecnologica, crescita economica e influenza nella definizione degli standard globali“. La Cina è già in vantaggio.