“Sono recenti, nei giornali quotidiani, gli echi di una legge di prossima promulgazione inerente al conferimento della cittadinanza italiana alle popolazioni dei territori ex jugoslavi annessi al Regno, in seguito agli ultimi avvenimenti militari e politici. Pur non ritenendosi opportuno — per ovvie ed intuitive ragioni — di anticipare precisazioni e giudizii a proposito di un provvedimento che trovasi tutt’ora in corso di attuazione, giova peraltro segnalare questa provvida disposizione che, intesa nella sua portata etico-giuridica, riveste un contenuto di particolare importanza sociale e — soprattutto — spirituale. Si tratta di un nuovo e cospicuo apporto di vitalità — in senso giuridico — al giovane organismo dei territori annessi. Essi si avviano in tal modo — oltre lo strepito delle armi — verso quella fusione con la Madre Patria che obbedisce al richiamo di voci profonde, le quali attingono talora alle sorgenti della stirpe. Ed è gesto di alta sapienza politica. Sulle orme della più sana tradizione romana e italica, la Patria ascolta le leggi del focolare e accoglie i nuovi elementi perché, all’ombra del vecchio ceppo, ritrovino quel calore d’intimità che nasce dalla comunanza di vita, si alimenta e si affina attraverso la consuetudine gentile d’una convivenza intesa sullo stesso piano di diritti e di doveri. Roma ancora una volta spartisce il pane e il sale. Chi è nato sul territorio soggetto alla sovranità d’uno Stato che ha conquistato col sangue il suo diritto d’imperio, sarà cittadino. Chi da 5 anni risiede su quel territorio dal quale ha tratto ragioni di vita e di pensiero, sarà cittadino. Il sangue e l’Idea si fondono in un’unica espressione di saggezza. Non tracotanza di conquistatori che disperdono, sommergono e passano oltre, ma sollecitudine fraterna di legislatori che si soffermano e provvedono. L’Itala gente dalle molte vite riappare sulla pedana della Storia col suo inconfondibile profilo.”
Questo articolo è tratto dal semestrale “Prima linea” del 19 settembre 1942 (XX° anno dell’era fascista), un periodico pubblicato a Lubiana dalle forze italiane di occupazione. Un documento prezioso che ci descrive in un colpo solo le linee guida dell’epoca in materia di immigrazione e asilo ma anche di cittadinanza. È innanzitutto interessante notare ce anche noi chiamavamo la guerra “ultimi avvenimenti militari e politici”, come oggi Putin la chiama “operazione militare”. Ma si noti soprattutto come erano larghi di manica i fascistoni di allora nella concessione della nazionalità che allegramente offrivano a tutti gli abitanti delle terre che avevano occupato con l’aggressione alla Iugoslavia, sloveni e altri iugoslavi compresi. Si noti il vocabolario che definisce “nuovi elementi” questi italiani per forza che “il sangue e l’idea” riuniscono al “focolare” della “stirpe” la quale ha “conquistato col sangue il suo diritto all’imperio”. Un testo da psicanalizzare, a cominciare dalla definizione di “giovane organismo” riferita ai “territori annessi”, a dire il vero occupati militarmente, con massacri e deportazioni. Emerge da questa definizione una visione organicistica della nazione che Hanna Arendt aveva così analizzato:
“Niente sarebbe teoreticamente più pericoloso della tradizione del pensiero organicistico nelle questioni politiche in base alle quali il potere e il monopolio della violenza vengono interpretati in termini biologici. Le metafore organicistiche possono alla fine soltanto favorire la volenza”
Alessandro Vitale nel suo saggio “L’unificazione impossibile” che racconta il disfacimento della Iugoslavia, approfondisce la questione individuando nella tradizione imperiale romana l’idea dell’aggregazione politica imperiale come un “corpo vivente” che ha poi portato alla sacralità del corpo del sovrano, identificato con lo Stato, nell’assolutismo europeo.
Un libro interessante al riguardo: Giovanni Ricci, “Il principe e la morte”
Scrive allo stesso riguardo L.C. Buchheit, citato da Vitale:
“Nella concezione organica lo Stato viene assimilato ad un organismo, ad un essere vivente e come nessun essere vivente può essere privato di una parte del suo corpo senza venirne danneggiato o addirittura morire, così lo Stato rischia di soccombere se una delle sue componenti si distacca.”
Citofonare Kosovo, Russia, Ucraina, Catalogna, Taiwan…
Ma questo è solo uno degli spunti che offre questo piccolo, micidiale articolo.
Parole che fanno pensare e che forse dovremmo rileggere più spesso. Per non dimenticare quanto è breve il passo dall’esaltazione della nazione e di tutto quello che è nazionale alla deriva di queste righe.
Anche la proclamazione delle pubblicità oggi dilaganti che vantano cereali, cosmetici, minestre di verdura e perfino divani al cento per cento italiani, nella sua banalità, è un piccolo, impercettibile passo in questa direzione. In Europa dovremmo invece prediligere il mercato unico, e magari esaltare le merci al cento per cento europee, che sono state una conquista e che, quelle sì, vanno nell’interesse del consumatore.
Ma tornando all’ideologo di Prima Linea, chissà se oggi l’Italia è ancora sulla “pedana della Storia”…