Bruxelles – Un milione e mezzo di persone nelle piazze delle principali città della Germania per sostenere una delle richieste potenzialmente più dirompenti della politica nazionale (con pesanti ripercussioni sullo scenario europeo) dalla nascita della Repubblica federale: la messa al bando del partito di estrema destra Alternative für Deutschland (AfD). Le enormi manifestazioni di piazza del fine settimana – in particolare nella capitale Berlino – hanno evidenziato come il dibattito sull’avanzata dell’estrema destra nel Paese sia un tema sempre più urgente e acceso, anche considerati i sondaggi elettorali e l’appuntamento europeo alle urne a giugno.
Non si tratta solo di preoccupazioni per le performance al voto di AfD, ma soprattutto della tenuta democratica di un Paese che deve fare i conti con grosse difficoltà economiche e con durissime proteste degli agricoltori contro il governo. Il cuore del dibattito in Germania è la messa al bando del principale partito nazionalista di destra sulla base dell’articolo 21 della Costituzione, che definisce “incostituzionali i partiti che, con i loro obiettivi o con il comportamento dei loro aderenti, cercano di indebolire o abolire l’ordine fondamentale democratico libero o di mettere in pericolo l’esistenza della Repubblica federale tedesca“. La questione è diventata particolarmente urgente dopo la pubblicazione di un’inchiesta di Correctiv, che ha rivelato lo scopo di una riunione a dicembre tra i leader di AfD, i finanziatori del partito e alcuni esponenti neonazisti: discutere di un piano di “remigrazione”, ovvero espulsioni su larga scala di persone migranti con permesso di soggiorno e richiedenti asilo, e di cittadini tedeschi di origine straniera.
AfD è classificato come ‘sospetta organizzazione estremista di destra’ dall’Ufficio federale per la protezione della Costituzione (Bfv), il servizio di intelligence civile. Non sembra però così semplice seguire la via della messa al bando, sia per la complessità da un punto di vista legale, sia per la possibile inefficacia della misura in un Paese che al momento vede il partito di estrema proiettato al secondo posto alle urne. La co-leader di Alternative für Deutschland, Alice Weidel, ha negato in un’intervista per Financial Times che la “remigrazione” faccia parte del programma del suo partito, anche se non ha escluso il piano tout court, precisando che si tratterebbe di espellere persone che hanno “acquisito illegalmente la cittadinanza sotto false pretese” o “con doppia nazionalità sospettati di terrorismo o condannati per atti criminali”. Allo stesso modo Weidel ha messo in chiaro che i profughi arrivati in Germania dopo l’invasione russa dell’Ucraina dovranno “tornare tutti a casa” una volta finita la guerra e ha attaccato la decisione di concedere loro i benefici della previdenza sociale.
Un altro elemento di preoccupazione per i piani di AfD coinvolge da vicino anche Bruxelles. Nella stessa intervista la co-leader del partito di estrema destra ha definito la Brexit “un modello” per la Germania, una scelta “giustissima” che dimostrerebbe che “si può prendere una decisione sovrana del genere”. Il partito nazionalista di estrema destra tedesco non ha mai rinnegato la cosiddetta “Dexit” (da Deutschland più exit) e ora che punta al governo sta tornando a presentare l’opzione dell’uscita dall’Unione Europea come un tema da sottoporre ai cittadini. In primis AfD proverebbe a limitare i poteri della Commissione Ue – “un esecutivo non eletto” – ma “se falliamo nel ricostruire la sovranità degli Stati membri dell’Ue, dovremmo lasciare che sia il popolo a decidere proprio come ha fatto il Regno Unito“, con un “referendum sulla Dexit”, sono le parole di Weidel.
Con l’obiettivo di arrivare al potere “nel 2029” (data delle elezioni federali dopo la tornata del prossimo anno), sul piano delle alleanze AfD punta a un governo con l’Unione Cristiano-Democratica: “La Cdu non riuscirà a mantenere il blocco”, è la previsione di Weidel, facendo riferimento già al presente dei Land dell’ex-Germania Est dove “possiamo formare una chiara maggioranza di destra, non possono rifiutarsi di accettarlo sul lungo termine“. In questo senso sembrano piuttosto inquietanti le parole del presidente della Cdu, Friedrich Merz, a proposito del dibattito sull’estrema destra nel Paese. Parlando con Die Zeit, Merz ha escluso sì qualsiasi collaborazione a livello federale con AfD (mentre “è più difficile” a livello locale), ma ha anche avvisato che “la retorica sui nazisti non ci porta da nessuna parte“, perché “non tutti” gli elettori di questo partito si rifanno a una retorica nazionalsocialista. Durissimo invece il presidente del partito Popolare Europeo (Ppe), Manfred Weber, su X: “È importante che la società si opponga a un pensiero disumano e razzista che mette a rischio lo Stato e la democrazia”, perché “l’AfD significherebbe la svendita della Germania, il suo declino e un Paese diverso“.
La frammentazione politica della Germania
È a destra che bisogna guardare per analizzare la tensione politica e sociale in una Germania che sta affrontando le conseguenze dell’aumento dei prezzi dell’energia e la recessione economica. Dopo decenni di stabilità guidata dai partiti tradizionali – cristiano-democratici e socialdemocratici – dall’insediamento dell’inedita ‘coalizione semaforo’ lo scenario politico è sempre più frammentato e sembrano essere le forze estremiste a poter trarre vantaggio della crisi tedesca. Il crollo dei tre partiti di governo è impressionante se si confrontano i risultati delle elezioni nazionali del 26 settembre 2021 con i sondaggi elettorali di due anni e mezzo più tardi: i socialdemocratici sono crollati al 13 per cento (-13 punti percentuali) i liberali al 5 (-7) e i Verdi al 13 (-2), che porterebbe la coalizione nel suo complesso a un -22 per cento delle preferenze degli elettori. A beneficiarne è solo il centro-destra popolare dell’Unione Cristiano-Democratica – al 30 per cento secondo i sondaggi (+6 punti) – ma soprattutto i nazionalisti di estrema destra di Alternative für Deutschland, dati oggi come secondo partito al 22 per cento (+12).
Anche se si tratta di sondaggi che poi dovranno essere testati alla prova delle urne, questa tendenza sta ormai proseguendo da mesi in Germania e già nell’autunno dello scorso anno ha evidenziato come in alcuni Land gli elettori si stiano rivolgendo sempre più a destra: alle elezioni del 9 ottobre negli Stati federati di Assia e Baviera l’AfD ha registrato il primo balzo in avanti a livello politico, mentre socialdemocratici, liberali e Verdi hanno tutti scontato pesanti sconfitte. Tre Land orientali – Brandeburgo, Turingia e Sassonia – andranno alle urne quest’anno e il partito di estrema destra è in testa su tutti e tre i fronti. Ma l’attenzione va rivolta soprattutto alle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo di giugno, quando non solo l’AfD testerà la propria forza elettorale, ma anche nuovi partiti emergenti che cercano di pescare nello stesso bacino di voti.
L’ultimo WerteUnion (Unione dei Valori), fondato sabato scorso da un gruppo di ex-membri della Cdu dopo aver tagliato i ponti con i cristiano-democratici. Il nuovo partito – che ha lo stesso nome della sotto-organizzazione non ufficiale della Cdu nata nel 2017 in opposizione alle politiche dell’ex-cancelliera Angela Merkel – sosterrà una “politica conservatrice” di destra e contribuirà a una “svolta politica” in Germania, ha dichiarato il suo leader ed ex-capo dell’agenzia di intelligence nazionale tedesca, Hans-Georg Maaßen, che non nasconde più la vicinanza all’AfD. Da settimane erano emersi i pani per la creazione del nuovo partito e, prima della fuoriuscita spontanea, il leader della Cdu Merz aveva annunciato che avrebbe presentato una mozione di incompatibilità della WerteUnion al prossimo congresso di partito.
Nella frammentazione politica tedesca è compresa anche la forza lanciata da uno dei volti più noti dell’estrema sinistra, Sahra Wagenknecht, ex-leader di Die Linke. La sua promessa è quella di salvare la democrazia nella più grande economia dell’Ue dalla minaccia rappresentata dall’avanzata dei partiti di estrema destra, cercando di intercettare proprio gli elettori che abbandonano i tradizionali partiti centristi. Il nuovo partito – Alleanza Sahra Wagenknecht (Bsw) dal nome della sua fondatrice e che i sondaggi danno attorno al 7 per cento – punta a invertire la rotta della Germania su iniziative impopolari del governo Scholz, come quelle ambientali, ma anche sulle forniture di armi all’Ucraina, sulla riduzione del numero di persone migranti e sul miglioramento dei servizi forniti dallo Stato. Un programma non troppo diverso da quello dei partiti a cui vuole sottrarre elettori, nonostante si posizioni sullo spettro opposto dello scacchiere politico.