Bruxelles – Gli ingredienti per mettere pressione al governo israeliano sul trovare al più presto una soluzione alla guerra a Gaza c’erano: la presenza contemporanea a Bruxelles dei ministri degli Esteri di Egitto, Giordania e Arabia Saudita, del segretario della Lega Araba. E – anche se per discussioni separate – dei ministri di Israele e Palestina. Ma lo scambio più atteso, quello tra i 27 e l’israeliano Israel Katz, ha assunto una dimensione grottesca.
“Penso che il ministro avrebbe potuto sfruttare meglio il tempo a sua disposizione per preoccuparsi della sicurezza del suo Paese e per l’elevato numero di morti sulla Striscia di Gaza”, è il commento emblematico dell’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, a margine del Consiglio Affari Esteri. In sostanza, dopo aver ascoltato le istanze dei 27 Paesi membri, sull’eccessivo numero di vittime civili a Gaza, sulla necessità di garantire l’ingresso continuo di aiuti umanitari, sull’importanza di porre fine all’occupazione coatta di territori palestinesi, Katz avrebbe mostrato agli omologhi europei due video “che non c’entravano nulla” con i temi del confronto.
Il primo su un progetto di un’isola artificiale per costruire un porto di fronte a Gaza, il secondo su una linea ferroviaria per collegare il Medio Oriente all’India. Anche in mattinata, davanti alla stampa internazionale a Bruxelles, il ministro israeliano aveva fatto ricorso al supporto di alcune fotografie. “Oggi sono qui per discutere con i miei colleghi europei di due questioni principali, portare indietro i nostri ostaggi e lo smantellamento dell’organizzazione Hamas, che ha attaccato brutalmente Israele”, aveva dichiarato mostrando una foto di un neonato e di alcune donne ancora prigionieri nella Striscia di Gaza. Per poi rifiutare le domanda dei giornalisti.
Senza entrare nel merito tecnico di due progetti che Borrell ha definito comunque “molto interessanti”, è evidente che fossero completamente fuori tema. Soprattutto immaginando come potrebbe essersi svolta la discussione fino a quel momento. Alcuni Paesi Ue, ha ammesso Borrell, hanno attaccato frontalmente Israele per la reazione militare sproporzionata in corso da tre mesi e mezzo. Hadja Lahbib, ministra degli Esteri del Belgio, prima dei lavori ha dichiarato che avrebbe trasmesso, “a nome del Belgio e della Presidenza belga del Consiglio dell’Unione europea”, l’appello per “un cessate il fuoco immediato, il rilascio degli ostaggi, il rispetto del diritto internazionale e il ritorno al processo di pace che deve portare alla creazione di due Stati che vivano pacificamente fianco a fianco”.
All’ingresso all’Europa Building, anche i ministri di Francia e Spagna avevano usato toni duri con Israele. Il ministro francese, Stéphane Séjourné, ha definito “inquietanti” le dichiarazioni di Benjamin Netanyahu sull’opposizione a uno stato palestinese e si è augurato che, oltre alle giuste sanzioni contro i terroristi di Hamas, “vengano adottate sanzioni nei prossimi giorni anche contro i coloni violenti in Cisgiordania”. Lo spagnolo José Manuel Albares Bueno ha invece spinto per “un cessate il fuoco permanente” e per il “riconoscimento di tutta la comunità internazionale di uno stato indipendente palestinese“. Che includa “Gaza e Cisgiordania, con un corridoio per garantire la continuità territoriale, un accesso al mare e la capitale a Gerusalemme est”.
Più cauto il vicepremier italiano Antonio Tajani, che, annunciando un viaggio in Libano, Israele e Palestina previsto in settimana, ha ribadito: “Noi siamo dalla parte di Israele, la responsabilità di ciò che sta accadendo è di Hamas, però la reazione di Israele può essere solo proporzionata”. Tajani avrebbe chiesto alla controparte israeliana di “prestare molta attenzione alla popolazione civile perché 25 mila morti, soprattutto donne e bambini, è qualcosa che non può essere accettato”. Prima di sottolineare che “l’unica soluzione possibile è due popoli due Stati, se vogliamo la pace. Ovviamente Israele deve riconoscere la Palestina e la Palestina deve riconoscere Israele“.
Nel piano in dodici punti – piuttosto generico – presentato da Borrell, la strada verso la soluzione dei due Stati passa per il riconoscimento di uno Stato palestinese e per una conferenza di pace preparatoria. “Se Israele non vuole una soluzione, gli sarà difficile partecipare al negoziato, ma non impedirà ad altri di lavorare su questo fronte”, ha avvisato il capo della diplomazia europea.
Ma la soluzione non passa, almeno per ora, per un appello europeo al cessate il fuoco, contrariamente alla volontà dei partner dei Paesi arabi. L’assedio a Gaza, ha dichiarato il ministro degli Estri giordano, Ayman Hussein Abdullah Al Safadi, “ha prodotto più distruzione di qualsiasi altro conflitto nella storia recente”. Al Safadi è tornato a puntare il dito contro la politica dei doppi standard: “Perché il diritto internazionale non può essere applicato al conflitto israelo-palestinese nello stesso modo in cui è applicato per altri conflitti?”, ha chiesto con rabbia alla stampa.
Riyad Al-Malki, ministro degli Affari Esteri dell’Autorità Nazionale Palestinese, non è riuscito a strappare quelle tre parole agli omologhi europei. “Sono venuto qui per dire ai miei colleghi dell’Ue che l’azione più importante da intraprendere è il cessate il fuoco. Dobbiamo chiedere collettivamente un cessate il fuoco. Non possiamo accettare niente di meno”, aveva dichiarato al suo arrivo.
Al-Malki ha chiesto all’Ue di impegnarsi per mettere fine alle ostilità, di condannare le dichiarazioni del governo israeliano e di “iniziare a contemplare sanzioni contro Netanyahu e altri che stanno davvero distruggendo le possibilità di pace in Medio Oriente“. Su quest’ultimo punto, è inevitabile, prima o poi si scontrerà anche il piano di Josep Borrell verso la soluzione dei due Stati.